Vienna, 31 ott – L’impressione, un mese fa dopo l’incontro informale di Algeri, era che l’accordo raggiunto in sede Opec fosse più facile a sottoscriversi nelle intenzioni che a rendersi operativo nella realtà. La due giorni di trattative conclusasi ieri nella sede centrale dell’organizzazione, a Vienna, sembra dar ragione alle paure della vigilia, non preludendo a nulla di buono per il vertice ufficiale in programma a fine novembre.
In questa tornata di colloqui, che hanno impegnato i rappresentanti diplomatici sia delle nazioni aderenti che di quelle al di fuori dell’Opec, l’obiettivo era quello di cominciare a discutere delle tecnicalità per arrivare al taglio di produzione globale da 700mila barili deciso nella capitale algerina in settembre. Molto più facile a dirsi che a farsi, dato che le fortissime divisioni – che stano anche affossando la ragione dell’esistenza dell’Opec stessa – non sono state risolte. Da un lato troviamo l’Arabia Saudita, che è riuscita solo in piccola parte ad escludere dal mercato i produttori di shale-oil, decisamente più resistenti delle aspettative al prezzo baso del greggio, dall’altra abbiamo Iraq e Iran che continuano a pompare quantità sempre maggiori di oro nero dal sottosuolo. Baghdad ne ha bisogno per finanziare la guerra all’Isis, mentre Teheran intende recuperare i livelli pre-sanzioni. Significa, almeno per quest’ultima, aggiungere altri 400mila barili al giorno, abbastanza per (insieme alla produzione aggiuntiva irachena) dover raddoppiare gli sforzi per giungere al taglio concordato. Non aiuta neanche la posizione della Russia, che nel 2016 ha più volte superato Riyad nelle quantità estratte e che si dice pronta ad un congelamento ma, almeno per ora, non vuole sentire parlare di tagli. Situazione simile per il Kazakistan, dove con l’avvio del sito di Kashagan dopo anni di ritardi sarà difficile imporre decisioni dall’alto. Con un problema ulteriore: questi ultimi due paesi non sono membri Opec, per cui coinvolgerli direttamente nelle strategie dell’ente è più difficile.
Nonostante il fallimento dell’incontro austriaco il mercato reagisce con leggerissimi cali, tanto che il Brent rimane sopra la soglia psicologica dei 50 dollari al barile. Segno che i broker dell’energia avevano già scontato l’ipotesi negativa dopo la semplice stretta di mano non vincolante di Algeri.
Filippo Burla