Roma, 27 ott – “Se il signor Eliade avesse letto Marx, se l’avesse capito bene e se – alla fine – fosse stato onesto, i suoi huligani sarebbero finiti col fare la rivoluzione e la lotta. Era un finale del tutto umano e predestinato. Ma il signor Eliade ha letto Heidegger, e gli è piaciuto. Gli è piaciuto quel vuoto mistico che è il nulla, e il terrore dell’infinito, elementi che – crede Lui – nobilitano l’uomo molto più della felicita e dell’amore per la vita. Gli huligani diventano così degli ossessivi della morte”. Siamo nel febbraio del 1936 e il critico marxista Miron Radu Paraschivescu demolisce così il romanzo uscito un anno prima a firma di un intellettuale 28enne già molto famoso in Romania e destinato in seguito ad ancora maggiore celebrità: Mircea Eliade, appunto. Storico delle religioni, ma anche romanziere e drammaturgo.
Una delle sue opere in prosa che più ha fatto parlare è appunto Gli Huligani, romanzo del 1935 appena tradotto e pubblicato in italiano da Jaca Book. Chi si cela dietro la parola di origine slava che dà origine al titolo? Una giovane borghesia in cerca di violenza, di azione, di assoluto. Dice a un certo punto uno dei protagonisti del romanzo: “Nella vita, c’è un solo inizio fecondo: l’esperienza huliganica. Non portare rispetto a nulla, non credere che in sé, nella propria giovinezza, nella propria biologia, se preferisci… Chi non comincia così, nei propri confronti o in quelli del mondo, non creerà nulla, rimarrà sterile, pavido. Poter dimenticare le verità, avere tanta vita in sé da non lasciarsene né penetrare né intimidire, ecco la vocazione dell’huligano! […] Perché cercare ‘verità’ che giustifichino la tua azione morale, la tua esperienza di vita, di missione collettiva? Sei o non sei? Ti senti completo, compiuto, vitale, robusto? Ti senti creatore, nella tua vita intima e nella tua intelligenza? Se sì, allora che t’importa delle verità? Rimani intero, rimani un huligano!”.
Siamo negli anni ’30, come si è detto. Da qualche anno, in Romania si fa notare la Guardia di Ferro di Corneliu Codreanu, con tutto il suo portato di forza mistica e violenta. Tra il ’36 e il ’39, Eliade vi aderirà, come faranno altri grandi nomi dell’intellighenzia romena di quel periodo. Ai contemporanei, l’assonanza tra la celebrazione di una gioventù vitalista e irrazionalista compiuta ne Gli Huligani (in cui si avverte profonda l’influenza di Nietzsche e Papini) e l’azione dei legionari guardisti non sfuggirà. Eliade proverà a uscire dall’impasse rimproverando a Paraschivescu di confondere lo spiritualismo con il fascismo. Il romanzo, del resto, fa parte di una trilogia, che comprende Il ritorno dal paradiso (1934) e la terza parte Vita nuova, di cui però usciranno solo frammenti nelle riviste romene tra il 1939 e il 1943. Gli Huligani, sostiene Eliade, va visto come la tappa non definitiva di una crescita interiore: è il momento dell’adolescenza spirituale, della pura forza che sperimenta se stessa. “Con la tappa successiva a Gli Huligani – la tappa dell’amore, dell’uscita dalla magia – il destino dei miei personaggi comincerà a chiarirsi. Ci saranno uomini che creeranno – e altri che falliranno. Ci saranno alcuni che continueranno a vivere – e ci saranno altri che potranno sin da ora attendere la morte”. La “tappa dell’amore”, come abbiamo visto, verrà illustrata solo a tratti.
Se Gli Huligani anticiperà la militanza guardista di Eliade, mostrandone il radicamento in una precisa visione del mondo pre-esistente, i tentativi di comporre Vita nuova arriveranno già nel momento del disincanto, dopo l’assassinio di Codreanu, e non a caso non troveranno l’unità compositiva. Nei rivolgimenti politici successivi alla morte del Capitano, Eliade lascerà la Romania e, nel marzo 1940, si farà nominare consigliere culturale dell’ambasciata rumena a Londra. Qui verrà incluso dal governo inglese nella lista delle persone passibili di arresto come misura di rappresaglia. Un alto esponente del Foreign Office lo definirà “il più nazista della delegazione inglese”. In un documento degli inglesi si cita anche la risposta che Eliade avrebbe fornito alla domanda se avesse o meno rinunciato definitivamente al movimento legionario: “I tempi, e soprattutto gli avvenimenti di ordine esterno, impongono a tutti i romeni dotati di una coscienza di sentirsi fortemente uniti, per poter far fronte al pericolo proveniente dall’esterno, che ancora persiste in grande misura”. Tramontati gli huligani, non sarebbe arrivato l’amore mistico, ma solo il pericolo incombente e, infine, dominante, su quella rivoluzione dello spirito e della vita che Eliade non cesserà mai di cercare e poi di rimpiangere.
Adriano Scianca
2 comments
Si ma alla fine Eliade è un infame o no? Rinnega o no? Per me è questo l’importante, è questo il discrimine, perchè è qui l’importanza, il senso, la verità. Si misura così la responsabilità, da assumersi o meno: questa è l’unica libertà, ovvero non condizionata da altro da sè. Dunque come andrebbe visto, dopo un monte di discorsi che fece prendendola alla larga? Abiurò o no? Ditemelo voi che io a forza di ritrattazioni m’ha confuso
Fu perseguitato dalla securitate di ceacescu per tutto il resto della vita…e ancora ci si chiede se era un infame o no…a parte che basterebbe la sua opera meravigliosa per essere perdonato