Berlino, 21 ott – In questi giorni si è tenuto a Berlino il vertice, chiamato dei “Normandy four”, sulla questione ucraina. Negli uffici della cancelleria i leader di Germania, Francia, Russia e Ucraina si sono incontrati per cercare di implementare gli accordi di Minsk sulla risoluzione del conflitto nel Donbass. L’incontro è stato in bilico sino a poche ore dal suo inizio ed è stato condotto strettamente a porte chiuse.
Secondo quanto rilasciato dai leader nelle diverse conferenze stampa sembrerebbe che si sia giunti ad un accordo tra le parti per la futura risoluzione della questione del Donbass, che si protrae ormai da quasi tre anni: il presidente ucraino Poroshenko ha riferito che “Non esiste alternativa a questo format, bisogna ideare e approvare una roadmap” aggiungendo che “I ministri degli esteri devono approvare la bozza della roadmap entro la fine di novembre”. Questo documento sostanzialmente sarà una implementazione degli Accordi di Minsk ed in particolare prevede il controllo delle frontiere, un canale diretto di comunicazione tra le parti, libero accesso all’Osce (Organization for Security and Co-operation in Europe), e ritiro delle forze armate, e ribadirà nel contempo tutte le clausole di sicurezza degli Accordi di Minsk stabilendone la tempistica della messa in atto.
Quello che però è già un dato di fatto emerso dal vertice di Berlino è la decisione di dare il via libera alle forze di polizia dell’Osce nel Donbass, come se fossero una sorta di forza di interposizione tra le milizie filorusse ed ucraine, con anche il compito di sorvegliare e garantire la libertà delle elezioni che potrebbero tenersi nella regione contesa: lo stesso Poroshenko ha infatto affermato che è stato raggiunto un accordo per lavorare, a livello di esperti e sottogruppi delegati dalle nazioni, al fine di preparare una prima bozza di legislazione elettorale a implementazione della cosiddetta “formula Steinmeier”, ovvero l’introduzione di uno status giuridico speciale per il Donbass. Verranno anche contestualmente create tre “zone di sicurezza” nella regione con avamposti permanenti delle forze dell’Osce e questa sarà la conditio sine qua non per il ritiro delle forze ucraine dalla regione, come fa sapere lo stesso presidente ucraino.
Sembra quindi che la strada per la pacificazione del Donbass si sia aperta dopo lo stallo degli accordi di Minsk, anche se il presidente della Russia, Vladimir Putin, lamenta come il problema umanitario nell’Ucraina del sud-est non sia ancora stato risolto: “Siamo d’accordo su parecchi, sfortunatamente solo parecchi, problemi di carattere umanitario. Altrettanto sfortunatamente sono stati fatti pochi progressi in questo ambito” ha dichiarato dopo il vertice di Berlino “I leader hanno espresso la propria volontà di risolvere questi problemi umanitari ma i progressi in questa sfera sono stati minori perchè sono principalmente connessi con l’organizzazione di contributi sociali”. Anche Putin ha però confermato le parole di Poroshenko dichiarando che la Russia è d’accordo con l’invio nel Donbass di una forza Osce di polizia e col ritiro congiunto delle forze militari aggiungendo che “Confermiamo che continueremo a lavorare sul binario politico, che include gli accordi finali sull’implementazione del documento sullo status speciale che separa le regioni di Lugansk e Donetsk nella Repubblica Popolare di Lugansk e nella Repubblica Popolare di Donetsk”.
Sembrerebbe quindi che si sia giunti a un accordo che andrà a frammentare l’Ucraina creando due nuove repubbliche sotto l’influenza russa; influenza che verrà sicuramente ribadita se si giungerà davvero a libere elezioni. Se da un lato il pericolo prossimo di un’escalation militare nella regione sembra scongiurato, il futuro non ci sembra affatto roseo, anche considerando i recenti moti separatisti filorussi nella regione della Transnistria, in Moldavia, ai confini occidentali dell’Ucraina: la creazione di repubbliche satelliti di Mosca, anche come enclave come nel caso moldavo, potrebbe in futuro destabilizzare ulteriormente gli equilibri della regione considerando il fatto che i confini orientali dell’Europa (e della Nato) sono molto più inclini, per questioni storiche, ad una certa russofobia; la stessa russofobia che li ha spinti in seno alla Nato e che, lo ricordiamo, li spinge a richiedere la presenza di forze di intervento rapido nei loro confini, come emerso dalla recente questione del futuro comando italiano della VJTF (Very high readiness Joint Task Force), oltre ad accogliere di buon grado esercitazioni e pattugliamenti aerei e marittimi delle forze dell’Alleanza Atlantica.
Paolo Mauri