Damasco, 4 ott – Sino a ieri sembrava che i rapporti tra Russia e Usa in merito alla cooperazione militare in Siria avessero subito una seria battuta d’arresto: il vice ministro degli Esteri russo Gennady Gatilov lunedì aveva infatti annunciato che “Tutti i contatti tra le forze militari sono cessati, non c’è stato alcuno scambio di informazioni (con gli americani n.d.r.)“ aggiungendo però nel contempo che la Russia stava cercando comunque di raggiungere un accordo con gli Usa per una tregua in Siria che però, come lo stesso Gatilov ha ricordato, non è ancora stato raggiunto nonostante i numerosi e frequenti contatti diplomatici tra le due nazioni. E’ notizia di oggi invece, ed a riportarlo è la Tass, che il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov, ha affermato che i contatti militari tra Mosca e Washington continueranno per evitare futuri seri incidenti in Siria:
“Per quanto ne sappiamo i mutui contatti tra le nostre forze armate volti ad evitare ogni azione pericolosa continuano e continueranno, questo è necessario per evitare seri incidenti”.
Le parole del Cremlino giungono quindi a far abbassare la temperatura tra Washington e Mosca dopo che domenica scorsa la portavoce del Ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, aveva dichiarato che se gli Stati Uniti dovessero attaccare direttamente Damasco e l’Esercito Siriano si arriverebbe ad uno “spaventoso spostamento tettonico” non solo in Siria ma anche nell’intera regione mediorientale. I contatti diplomatici e militari tra le due superpotenze quindi continuano, come ci ricorda lo stesso Peskov, sebbene abbia sottolineato che la Russia continuerà l’assistenza alle Forze Armate Siriane indipendentemente dalle mosse degli Stati Uniti: “La rottura del dialogo sul cessate il fuoco da parte degli Usa con noi sulla Siria complica la situazione. Questo ritiro sfortunatamente conferma l’impossibilità de facto di operare una distinzione tra i terroristi e la cosiddetta opposizione moderata, ma questo non significa che la Russia intenda abbandonare i propri piani sulla lotta al terrorismo e l’assistenza alle Forze Armate Siriane nella loro attività anti-terrore”. Mosca quindi da un lato alza la voce dall’altro abbassa i toni per cercare di trovare una soluzione diplomatica più vicina ai propri interessi nell’area, che è di importanza strategica non solo per la ben nota questione del passaggio di pipeline che permetterebbero un secondo canale di afflusso di idrocarburi verso il Mediterraneo oltre al futuro Turkish Stream, ma soprattutto perché la regione del Levante ha risorse di gas e petrolio il cui sfruttamento è ancora da implementare. Secondariamente, ma non meno importante, il Cremlino sa bene che non può permettersi di perdere il controllo geopolitico dell’area in quanto potrebbe causare un effetto domino sulle repubbliche caucasiche e su quegli Stati dell’Asia centrale ex sovietica sotto la diretta o meno influenza russa. Pertanto Mosca in Siria non può lasciare di venire totalmente estromessa ma non può nemmeno, ovviamente, arrivare allo scontro diplomatico o militare con gli Usa ed i suoi alleati dell’opposizione moderata: a riprova di questo sono state le operazioni aree a sostegno del Free Syrian Army lo scorso dicembre oppure l’offerta di effettuare operazioni aeree congiunte con la Coalizione a guida americana lo scorso maggio.
Le parole del Cremlino sono quindi più un invito agli americani che una minaccia vera e propria, perché la Russia sa bene che non può permettersi sul piano diplomatico internazionale un attacco deliberato contro il FSA, nonostante abbia più volte portato prove di contatti tra alcune fazioni che erano solite cooperare con gli Usa e Jabhat al-Nusra. Dall’altra parte della “barricata” invece, gli Stati Uniti non brillano certo per correttezza: oltre ai ben noti fatti di Deir ez-Zor sembra che l’amministrazione americana stia facendo di tutto per attirare Mosca in una trappola per procrastinare la durata della guerra civile sperando forse in un exploit dei Peshmerga curdi da loro armati e addestrati (e anche da noi). La richiesta del Dipartimento di Stato americano di una ulteriore tregua di 7 giorni, al posto delle 48 ore proposte da Mosca, permetterebbe ai ribelli, e soprattutto alle forze del Califfato, di riorganizzarsi e resistere all’offensiva della forze lealiste di Assad su Aleppo, ed il rifiuto, per ora momentaneo, da parte di Washington di fornire i dati di intelligence in loro possesso che indicano le posizioni delle forze ribelli viene mal digerito da Mosca e di certo non aiuta a distendere il clima di tensione che si è creato recentemente.
Paolo Mauri