Francoforte, 9 set – Ieri la Banca Centrale Europea si è presa una pausa di riflessione. La Bce ha preferito non discutere il prolungamento del suo piano di acquisto di titoli oltre la scadenza prevista di marzo. A spiegare le ragioni di questa scelta bastano le parole di Mario Draghi, presidente della Bce: “Le modifiche alle previsioni economiche non sono state così sostanziali da giustificare una decisione di agire”. In parole povere la Bce non ha nessuna fretta di pronunciarsi. Inoltre, va ricordato che i tassi d’interesse rimangono invariati. Draghi poi ha tenuto a precisare che ha dato mandato ai comitati tecnici di prendere tutte le misure necessarie affinché il Quantitave easing (Qe), possa essere messo in atto senza battute d’arresto.
È bene, però, ricordare cos’è il Qe. Possiamo parlare di quantitave easing quando le banche centrali, in questo caso la Bce, si pongono quali acquirenti di beni (generalmente si tratta di azioni o titoli di stato) con denaro creato “ex-novo” e al fine di incentivare la crescita economica (per questo il QE viene anche chiamato “stimolo”). Principalmente, al quantitative easing si associano due effetti. Il primo è l’aumento dell’attività economica frutto della maggiore circolazione di liquidità. Il secondo è l’abbassamento del costo dei prestiti con l’acquisto da parte della banca dovrebbe far aumentare la domanda dei titoli e, allo stesso tempo, ridurne i costi. Teoricamente, l’allentamento monetario dovrebbe avere l’effetto di facilitare l’accesso al credito e, per conseguenza, stimolare la crescita economica. In Europa, però, le cose sono andate diversamente. La crescita economica è al palo così come l’inflazione. Il tanto auspicato aumento della liquidità non si è visto. Pertanto, le scelte della Bce finora si sono dimostrate un fallimento. Anche se c’è chi dice che senza Mister Draghi avremmo patito guai peggiori. Purtroppo, la storia non si fa con i se e bisogna fare i conti con la realtà. È necessario, quindi, prendere in considerazioni altri strumenti. Non si tratta di ricette frutto della fantasia di qualche accademico. Ci basta prendere spunto dalle politiche economiche e monetarie fatte dagli Stati Uniti per uscire dalla crisi dei mutui subprime. L’agenzia di rating JPMorgan, infatti, ci ricorda che: “Negli Stati Uniti, i profitti delle banche ammontano a quarantasette miliardi di euro nella prima metà del 2016 e hanno recuperato e superato i livelli pre-crisi”. Vediamo come hanno fatto gli americani a superare quella crisi.
In un’intervista rilasciata qualche giorno fa al canale Cnbc, Philippe Bodereau ci spiega cosa secondo lui dovrebbe fare la Bce affinché le banche ritornino a erogare credito. Bodereau è il responsabile globale per la ricerca finanziaria di Pimco (Pacific Investment Company Management), si tratta di un’azienda di gestione globale degli investimenti. Secondo il ricercatore americano: “La Bce ovviamente sta cercando asset da comprare. A un certo punto, probabilmente all’inizio dell’anno prossimo, gli asset acquistabili in base al programma di Quantitative easing finiranno. E la cosa maggiore impatto che si potrebbe fare in Europa, per conto mio, sarebbe acquistare crediti deteriorati”. Il modello è il Troubled Asset Relief Program (Tarp) con il quale il Tesoro Usa, nel 2008, decise di acquistare asset “tossici” per 700 miliardi di dollari dal sistema finanziario (ma alcuni ritengono che il volume degli acquisti fu assai più consistente delle cifre ufficiali). In pratica il governo americano d’accordo con la Fed ha aiutato a stabilizzare il sistema finanziario fornendo capitali a più di 700 istituti bancari di tutta la Nazione. Oggi le banche hanno restituito il 99% dei fondi investiti dal Tesoro e quest’ultimo ha già realizzato guadagni provenienti da dividendi, warrant e altre entrate. E se in passato le partecipazioni delle banche nel TARP superavano il 98%, oggi la percentuale è scesa sotto l’1%. Nella patria del liberismo, di fronte all’evidente fallimento del mercato, il Tesoro e la Fed hanno deciso di intervenire in maniera decisa. In pratica, invece di stampare moneta, che sarebbe rimasta nelle casseforti delle banche, hanno acquistato e smaltito i crediti inesigibili o mutui subprime.
Mario Draghi, invece, ha scelto una strada diversa. Non ha ottenuto i risultati previsti, ma forse perché il suo intento non è certo quello di favorire la liquidità. Il presidente della Bce sfrutta il Qe per chiedere ai governi di fare le riforme, ossia di smantellare lo stato sociale e favorire le privatizzazioni. Al G-20 della scorsa settimana, infatti, ha ribadito che gli stimoli monetari non bastano servono le riforme strutturali. Un po’ sul modello della Grecia, si potrebbe aggiungere. Dunque, siamo ancora sicuri che usciremo dalla crisi grazie a Mister Draghi?
Recupero Salvatore