Berlino, 5 set – Dubbi non ve ne sono: Alternative für Deutschland (Afd), con il suo 20,8%, è il vero partito vittorioso alle elezioni regionali del Land Meclemburgo-Pomerania. Non certo la Spd che, pur consacratasi primo partito con il 30% dei voti, ha comunque perso cinque punti percentuali rispetto alla scorsa tornata, confermando inoltre il trend negativo registrato negli ultimi mesi. Ma forse, più che il successo del partito guidato da Frauke Petry, a far discutere è il crollo della Cdu, il partito della Merkel. Anche qui ci sono pochi dubbi: non sono tanto i tre punti percentuali perduti a far rumore, ma il fatto di essere stati superati dall’Afd, peraltro nella regione natia della cancelliera (nel suo distretto elettorale l’Afd ha addirittura fatto il pieno). Tant’è che ormai si parla di queste elezioni come di un referendum sulla Merkel: e la cancelliera ne è uscita piuttosto malconcia. Un colpo durissimo alla sua autorevolezza e alla sua (finora) incontrastata leadership.
Per il resto, piangono anche gli altri partiti: i liberali (Fdp) steccano anche stavolta, non raggiungendo la soglia di sbarramento del 5%, così come la Npd (dal 6 al 3%) e i Verdi (4,8%), anch’essi fuori dai giochi nonostante la vittoria a sorpresa nel Baden-Württemberg lo scorso marzo. Anche la Linke si attesta “solo” al 13%, perdendo così ben cinque punti percentuali: quello che finora si era profilato come il partito forte dell’Est ha pagato a caro prezzo il suo irriducibile filo-immigrazionismo (qualche settimana fa, una politica della Linke è stata addirittura linciata dai compagni di partito per aver avanzato riserve sull’utilità di una strategia smaccatamente a favore dell’invasione dei presunti profughi). Di conseguenza, dopo il ridimensionamento nella Sassonia-Anhalt, arriva anche questa batosta: è ormai l’Afd che ha conquistato i cuori degli Ossis (tedeschi orientali), i quali l’hanno premiata in entrambi i casi con più del 20% dei voti.
Infatti, è interessante soprattutto vedere da chi l’Afd ha drenato consensi: oltre che dalla Npd (i cui voti sono stati dimezzati), è proprio in “campo nemico”, cioè presso elettori delusi di Spd e Linke, che Frauke Petry e il candidato Leif-Erik Holm hanno saccheggiato preferenze. Insomma: sostenere l’immigrazione non paga. Ma è un altro dato ad agitare e al contempo a rincuorare gli attoniti analisti: la maggior parte del consenso all’Afd viene da ex astensionisti. Questo vuol dire che i sovranisti sono stati in grado di mobilitare quella fetta della popolazione disillusa e arrabbiata che sembrava ormai irrecuperabile alla politica.
Ma ciò vuol dire anche – a detta dei soloni del politicamente corretto – che il consenso dell’Afd è basato sul mero voto di protesta: alla lunga – questa è la tesi – si sgretolerà. Eppure ai giornalisti delle riviste patinate tedesche farebbe bene dare uno sguardo all’Italia e al mondo: più si parla di “voto di protesta” (provvisorio e fluttuante), e più i vari M5S, Fpö, Ukip e Front National crescono. L’auto-consolazione porta spesso a prendere cantonate e a bruschi risvegli: sono mesi che si dice che l’Afd svanirà come neve al sole non appena calerà l’attenzione sui profughi. Eppure, tra un attentato e una carneficina, l’Afd – che è l’unico partito ad avversare incondizionatamente l’invasione immigrata – aumenta i consensi e tenta di consolidarli in “voto di struttura”. Anche perché si è tentato in tutti i modi di dipingere l’elettore medio dell’Afd come maschio di mezza età senza qualifiche e senza lavoro, cioè il classico “sconfitto della globalizzazione”. E invece i dati parlano chiaro: il voto a favore dell’Afd è stato trasversale, pescando un po’ ovunque sia tra le classi sociali, sia tra le fasce di età e i livelli di istruzione.
Detto questo, rimangono da chiarire le prospettive e gli scenari che potrebbero profilarsi nel futuro, soprattutto in vista delle elezioni nazionali che si svolgeranno tra un anno. Partiamo dalla Merkel: la cancelliera è in grande difficoltà, soprattutto perché non può rimangiarsi la politica immigratoria su cui ha investito in termini di forza e di credibilità. Eppure le urne parlano chiaro: il più volte ripetuto wir schaffen es (“ce la faremo”, in riferimento alla gestione dei richiedenti asilo) non paga e può anzi essere esiziale. Tant’è che gli storici alleati bavaresi della Csu hanno sconfessato la Merkel, mentre la Spd ora spinge per rivedere le quote all’interno della Große Koalition. Insomma, ad attendere la Merkel ci sono mesi difficili e decisivi, ma l’assenza di un’alterativa affidabile alla sua leadership potrebbe tenerla a galla e ridarle forza.
Per quanto riguarda l’Afd, le elezioni nel Land di Berlino, che si terranno tra due settimane, saranno un altro banco di prova per i sovranisti tedeschi: in una regione tendenzialmente di sinistra, il raggiungimento del 15% (ciò che si augura la Petry) rappresenterebbe un’indiscutibile prova di forza. Per il resto, l’entrata al Bundestag nel 2017 (appena sfiorata quattro anni fa) parrebbe scontata, anche se è da capire con che numeri e con che peso. Tuttavia, ora per il giovane partito della battagliera Frauke Petry non può esserci nulla di meglio che qualche anno di opposizione. Sia per consolidare il consenso, sia per formare una classe dirigente in grado un domani di governare, sia infine per rimpolpare le proprie fila (in Pomerania la sconfitta Cdu poteva contare su circa 5000 militanti a fronte dei 500 dell’Afd, ossia dieci volte tanto). Insomma, di una vera e propria “rivoluzione” in Germania non è proprio possibile parlare. Eppure, se l’Afd dimostrerà tenuta e coesione, molto presto la topografia politica della prima economia europea potrebbe davvero essere riscritta.
Valerio Benedetti