Francoforte, 11 ago – “Anche se è improbabile che la Deutsche Bank entri in bancarotta, l’istituto di credito di Francoforte non ha abbastanza risorse per affrontare una lunga e grave crisi”. Con queste parole l’analista Martin Hellwig (top economist presso il Max Planck Institute), ha definito lo stato di salute di una delle più importanti banche europee in un’intervista al giornale Express. Fin qui, però, nulla di nuovo. A far discutere, infatti, è la soluzione proposta dall’economista tedesco. Secondo Hellwig: “Rendere le banche di proprietà pubblica attraverso i fondi pubblici non è solo possibile, ma anche necessario. Se una banca non è più capace di aiutare se stessa, il governo federale dovrebbe assumere delle iniziative ed esercitare le relative funzioni di controllo. In Svezia lo Stato è intervenuto nel 1992, ha scartato le divisioni non redditizie e ha lasciato delle aziende stabili”. Le parole dell’analista tedesco suonano come una bestemmia sull’altare del neoliberismo. La soluzione per la crisi delle banche passa dunque per un intervento diretto dello stato? Prima di rispondere a questa domanda, cerchiamo di capire la situazione in cui versa la Deutsche Bank.
Il colosso bancario tedesco non naviga certo in acque serene. L’argomento è già stato affrontato su questo sito lo scorso trenta luglio all’indomani dell’esito degli stress test della Bce. Per fare chiarezza proviamo a fornire qualche numero. Un dato su tutti: i derivati. La Deutsche Bank ha “in pancia” derivati per un valore nozionale di cinquantaquattro mila miliardi di euro: una cifra equivalente a quattordici volte l’intero prodotto interno lordo della Germania. Lo stesso Fondo Monetario Internazionale ha ammesso che questo è “il principale elemento di rischio sistemico”.
Sull’anomalia della Deutsche Bank è importante citare Giorgio Vitangeli, in suo recente articolo su La Finanza sul Web. Vitangeli ricorda come: “Il presidente dell’Asso -Tag (l’Associazione dei periti e consulenti tecnici di nomina giudiziaria) Alfonso Scarano, ha recentemente inviato una lettera al presidente della BCE Mario Draghi, chiedendo maggiore chiarezza sui rischi insiti nei derivati finanziari, sottolineando come appaia “incomprensibile l’attuale discriminazione di trattamento tra la puntuale analisi dei rischi del credito commerciale da un lato e dall’altro la mancata puntuale analisi del rischio insito nei derivati finanziari in possesso delle banche, in particolare della classe 3” (su questi derivati, com’è noto, sono le stesse banche a stabilirne il valore in bilancio)”.
Quanto detto è utile per capire che c’è una carenza di controlli e di regole. Torniamo, dunque, alle valutazione del’analista blasfemo Hellwig. L’economista tedesco ricorda come: “Dal di fuori si ha l’impressione che negli ultimi venti anni i banchieri abbiano prosciugato la vitalità della Deutsche. Una nazionalizzazione in caso di emergenza potrebbe essere un passo verso una maggiore razionalità nel mondo bancario”.
Ma, Hellwig non è il solo a denunciare la schizofrenia della finanza. L’esperto di finanza Max Keiser ha recentemente affermato che la banca più grande della Germania è “tecnicamente insolvente”. In brevis, la Deutsche Bank si regge su un modello economico di vendita truffaldino che promette forti guadagni alle vittime a patto che queste reclutino nuovi “investitori”, a loro volta vittime della truffa. Lo schema Ponzi, in pratica. Forse, il paragone può sembrare esagerato. Ma, in realtà non lo è. Il meccanismo è semplice: ti vendono una cambiale facendoti credere che si tratti di un lingotto d’oro. Siamo ancora sicuri che la nazionalizzazione di una banca sia un pessimo affare per la collettività?
Salvatore Recupero