Roma, 10 ago – Sulla vita di Nazario Sauro è stato scritto molto, ma al pari di altri personaggi che come lui scelsero la via dell’irredentismo e perirono in nome dell’Italia per mano austriaca come Cesare Battisti, Damiano Chiesa e Fabio Filzi, poco è rimasto della sua memoria nella cultura storica moderna. Eroi dimenticati, forse volutamente, da una Nazione che a cent’anni di distanza da quel conflitto ancora fatica ad ammettere come la Prima Guerra Mondiale non sia stata un inutile spargimento di sangue, ma il culmine del Risorgimento italiano.
Sauro nacque a Capodistria il 20 settembre del 1880 in una famiglia di modesta condizione: il padre, esperto di cabotaggio, dopo aver racimolato una discreta somma di denaro in Francia con un’impresa di recupero di navi affondate, era tornato nella città istriana dove aprì un piccolo stabilimento balneare e riprese al tempo stesso la navigazione litoranea. Nazario, unico figlio maschio, venne istruito all’arte della navigazione: “Ha da essere marinaio come me” disse il padre, che, ancora in età scolare, lo portava con sé sui barconi che trasportavano mercanzie e derrate da un punto all’altro del litorale. Così Nazario maturò quella conoscenza della costa e delle correnti al largo dell’Istria e della Dalmazia che fu così importante successivamente durante il periodo bellico. Quando Sauro ebbe l’età giusta, fu mandato a Trieste perché studiasse per ottenere il brevetto di capitano di grande cabotaggio, e qui ebbe modo di approfondire ulteriormente quello spirito di italianità, già inculcatogli dal padre in giovane età, grazie ai suoi docenti dalmati, che per lunghi anni vi avevano insegnato prima di essere sostituiti da professori tedeschi. Ottenuto il brevetto nel 1904 Sauro divenne capitano a bordo di vapori che navigavano lungo l’alto Adriatico, oltre che nell’Egeo, nelle Indie e in Nord America. Sposatosi ebbe cinque figli, a cui tramandò, oltre all’amore per il mare, quello per la sua vera Patria, l’Italia; un amore così grande che gli procurò il desiderio di vedere Roma rompere l’alleanza con Vienna per il riscatto di tutti gli italiani intrappolati nelle terre imperiali. Il clima politico di quei tempi si inasprì, i decreti Hohenlohe avevano vietato di assumere equipaggi italiani, e parimenti Sauro, che aveva sempre avuto un carattere espansivo e gioviale, lottò, a terra e a bordo, per il suo ideale contro gli sloveni e i tedeschi: anche nelle spesso violente lotte elettorali non si tirò mai indietro partecipandovi con ardore, lo stesso ardore che, di lì a poco, lo portò naturalmente a fare quella scelta radicale e mai rinnegata che lo condusse al capestro. Scoppiata la guerra Sauro, non dovendo adempiere agli obblighi di leva grazie alla sua condizione di capitano di grande cabotaggio, giunse a Venezia il 2 settembre del 1914, dove si occupò attivamente dell’organizzazione dei profughi italiani, intanto non erano infrequenti i viaggi clandestini a Trieste per mantenere i contatti con gli irredenti rimasti in terra austriaca e soprattutto per svolgere attività di propaganda e raccolta di informazioni. Alla dichiarazione di guerra del 24 maggio, Sauro si offrì immediatamente volontario e fu arruolato come Tenente di Vascello nella Regia Marina ma senza stellette: così si usava per gli irredenti a quel tempo. Stellette che si guadagnò in seguito, insieme alla Medaglia d’Argento al Valor Militare dopo aver partecipato a 41 missioni. Altre ve ne furono, in totale 61, tra le quali si ricordano le due ardite incursioni con motosiluranti a Parenzo, sino al momento in cui, una mattina del 30 luglio del 1916, Sauro si imbarcò sul sommergibile “Pullino” per quella che fu la sua ultima missione di guerra.
Il “Pullino” avrebbe dovuto addentrarsi nella rada di Fiume per silurare alcuni grossi piroscafi da trasporto, e chi meglio di Sauro, con la sua minuziosa conoscenza del litorale, avrebbe potuto essere il pilota di quest’impresa? Il sommergibile raggiunse la costa dalmata poco dopo la mezzanotte e a questo punto il fato si accanì sulla sorte del battello: non è mai stata chiarita la dinamica esatta, ma il “Pullino” improvvisamente si incagliò nei bassifondi dell’isola della Galiola, e non vi fu verso di liberarlo nonostante gli sforzi dell’equipaggio. All’alba gli uomini del sommergibile riuscirono a catturare un grosso barcone a vela col quale tentare di ritornare in Italia, ma gli austriaci erano già in allarme. Sauro chiese ed ottenne di separare la sua sorte da quella del resto dell’equipaggio e con un piccolo battello a remi cercò di raggiungere la costa, da dove, secondo le sue intenzioni, avrebbe potuto raggiungere a piedi le linee italiane grazie alle sue conoscenze. L’impresa però fallì: dopo poche miglia di voga Sauro fu catturato e preso a bordo della nave austriaca “Satellit” mentre una torpediniera prese a rimorchio il barcone a vela con l’equipaggio del “Pullino”. Qui finisce la storia e comincia il mito di Sauro: essendo nato a Capodistria agli occhi delle autorità austriache era un traditore, con l’aggravante di aver preso le armi contro la Patria stessa. Dopo uno straziante processo sommario, in cui venne chiamata a riconoscerlo la stessa madre, che negò più volte che quell’uomo fiero e tranquillo fosse suo figlio, la mattina del 10 agosto 1916 fu messo a morte tramite impiccagione nel carcere militare di Pola. Fra la sentenza e l’esecuzione passarono solo due ore nelle quali Sauro ostentò orgogliosa indifferenza, rifiutò a oltranza l’abito civile chiedendo ed ottenendo di venire impiccato con la divisa e col berretto da ufficiale della Regia Marina, si affacciò più e più volte, ammanettato, al cortile del carcere dove era stata eretta la forca per gridare “Viva l’Italia!” e lo gridò ancora fin sotto il patibolo tanto che uno dei carcerieri dovette mettergli, invano, una mano sulla bocca per farlo tacere. Sepolto frettolosamente all’esterno del cimitero di Pola, ebbe finalmente pace solo dopo la Vittoria, quando la sua salma fu riesumata e le fu dato il giusto onore il 26 gennaio del 1919 con funerali solenni tenutisi nella città che vide il suo martirio.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, il monumento eretto sul molo di Capodistria a ricordo dell’eroe italiano fu fatto saltare dai titini, ma non è con la dinamite che si annulla il ricordo di un personaggio come Sauro. Valgano ad eterna memoria del suo coraggio e del suo sentimento patrio, le parole che scrisse a sua moglie qualche giorno prima dell’entrata in guerra: “Cara consorte, insegna ai nostri figli che il loro padre fu prima italiano, poi padre e poi uomo”.
Paolo Mauri