Roma, 3 ago – Renzi era sicuro: per Montepaschi la soluzione “di mercato” era la migliore, in quanto avrebbe messo al sicuro la banca senza pesare sulle tasche dei cittadini. Eccezion fatta per i soldi delle future pensioni gestiti dalle casse previdenziali dei professionisti, attivamente coinvolte nell’operazione, ma tant’è. Ieri, finalmente, la risposta del mercato è arrivata: -16% a Piazza Affari, un crollo che ha superato di misura quello delle altre banche giunto dopo la pubblicazione dei risultati degli stress test da parte dell’Eba, l’autorità bancaria europea.
Una bocciatura che pesa come un macigno in virtù del carattere sistemico di Montepaschi. Non si tratta più di un istituto locale come Popolare dell’Etruria o Banca Marche, bensì di un soggetto che fino a pochi anni fa competenza con i più grandi giocatori continentali e tutt’ora riveste un ruolo importante nel quadro complessivo. Scelte a dir poco pessime di gestione hanno trasformato la banca più antica del mondo ancora in attività da attore a comprimario, capace però ancora di metter nei guai, con la sua mole di prestiti incagliati da smaltire, l’intero sistema italiano. Un fardello, quello delle sofferenze, che poteva/doveva presupporre una qualche forma di intervento pubblico per vedere lo Stato tornare a fare il suo mestiere: vettore di politica economica, garante della stabilità, prestatore di ultima istanza nella misura in cui la Banca centrale europea ha abdicato al suo ruolo. E invece no, tramite l’arma spuntata di Atlante – il fondo nato per ricapitalizzare banche che più che capitali hanno bisogno di cedere i crediti difficilmente recuperabili – si sta cercando una mediazione sotto forma di toppa che non può essere peggiore del buco perché questo buco non lo copre nemmeno minimamente. Il governo ha invocato il mercato, ma il mercato si è scansato.
Proviamo a fare due conti. Su Montepaschi si sta lavorando ad un aumento di capitale pari a cinque miliardi, vale a dire quasi sei volte la sua attuale capitalizzazione di borsa. Già qui i primi dubbi sulla fattibilità dell’operazione sembrano più che leciti. In secondo luogo, Mps deve sgravarsi, da piano industriale, quasi 10 miliardi di crediti deteriorati, 27 miliardi lordi. Significa una perdita della differenza, il 66% del totale, cui l’aumento di capitale dovrebbe in qualche modo mettere una pezza. E qui sorge spontanea una domanda: chi si compra le sofferenze Montepaschi? A parole sono già molti i soggetti interessati, visto soprattutto lo sconto di cessione, ma in sede pratica bisognerà vedere chi vorrà farsi carico di passività di dubbia realizzazione. Ammesso e non concesso, poi, che tutto l’impianto funzioni, le prospettive di medio termine non sono per niente rosee. La “bocciatura” ai test dell’Eba di molte banche tedesche mette in guardia sulle politiche di Draghi e dell’Ue: i tassi bassi minano la solidità degli istituti, così come la mancata crescita rende impossibile far ripartire un circuito finanziario che si voglia virtuoso.
Filippo Burla