Roma, 24 – Prezzi sottozero. Non è un’ondata di freddo, ma le conseguenze della deflazione. Nel primo semestre del 2016, segnala la Cgia di Mestre, i prezzi al consumo hanno fatto segnare -0.2%. Se la tendenza si confermasse anche per i restanti sei mesi, al 31 dicembre l’intero anno si chiuderebbe in negativo. Non succedeva dal 1959, quando però l’economia correva facendo segnare +7%, mentre adesso “dopo una lunga fase di crisi – si legge nella nota dell’ufficio studi dell’associazione mestrina – la crescita economica è ancora a rischio, tant’è che i centri studi e gli organismi internazionali stanno rivedendo al ribasso le prospettive per il 2016 (tassi inferiori all’1 per cento)”.
“Su 200 voci di prodotto analizzate – continua lo studio – la deflazione si è verificata in ben 68 casi. E, al di là di settori particolari come l’hi-tech dove il progresso tecnologico consente, generalmente, la contrazione dei prezzi e dei prodotti energetici che hanno beneficiato di un prezzo del petrolio basso e al di sotto dei 50 dollari al barile per tutto il primo semestre del 2016, la deflazione ha colpito anche altri comparti di spesa, in particolare molti prodotti alimentari“. Si va dai pomodori all’insalata, dallo zucchero alle arance fino alla farina. Un paniere molto più consistente ed indicativo rispetto a quello Istat: ““Il fatto che tanti prodotti alimentari abbiano subito un forte deprezzamento – dichiara il coordinatore dell’ufficio studi, Paolo Zabeo – è indice delle difficoltà in cui versano le famiglie italiane. Nonostante i consumi abbiano registrato una leggera ripresa, rimangono molto lontani dai livelli raggiunti prima della crisi. Dal 2007 ad oggi, infatti, sono diminuiti di circa 6 punti percentuali. Nonostante il rafforzamento del quantitative easing da parte della Banca Centrale Europea, la domanda è ancora fiacca e questo influisce sul livello dei prezzi che continuano a scendere, riducendo in misura preoccupante i margini di guadagno delle imprese”.
La deflazione è equamente distribuita lungo tutta la penisola, con i massimi (sia pur lievi, rispetto al contesto) che si toccano nel mezzogiorno, segno che la discesa dei prezzi coinvolge tutto il paese e “testimonia come nei consumatori prevalgano preoccupazioni e l’incertezza internazionale non favorisce la fiducia”. Dati preoccupanti soprattutto per le piccole e medie imprese: “L’artigianato, il piccolo commercio e in generale tutte le microimprese – conclude Paolo Zabeo – vivono quasi esclusivamente di consumi interni e la recessione ha purtroppo ridotto di molto la capacità di spesa degli italiani. Sebbene negli ultimi 2 anni ci sia stata una timida inversione di tendenza, la domanda interna rimane troppo asfittica per far ripartire il Paese e il suo tessuto imprenditoriale”.
Filippo Burla