Roma, 20 lug – La nuova parola d’ordine è “radicalizzazione”. La sociologia di sinistra doveva pur inventarsi qualcosa per giustificare il fatto che il mondo colorato e inclusivo che sognava si fosse trasformato in un incubo con brandelli di carne umana sparsi ovunque. Ecco allora spuntare dal cilindro la “radicalizzazione”: non sono cattivi, è che si radicalizzano. Ovvio che si stia cercando solo di salvare il “buon nome” (?) dell’immigrazione e degli immigrati. Tutto andava bene, poi, per qualche misterioso motivo, si sono “radicalizzati”.
Tentativo peraltro destinato al fallimento, per una serie di buone ragioni: a) Abbiamo qui a che fare con la vecchia mania di Rousseau di immaginare l’uomo come buono per natura e credere che sia sempre il contesto a renderlo malvagio. Ma, nel caso del terrorismo jihadista, il “contesto” è sempre fornito dalla società multirazziale, quindi le élite immigrazioniste non ne escono bene comunque; b) Tutti quelli che si “radicalizzano” non è che prima fossero cittadini modello: in genere parliamo di feccia, di criminali, spacciatori, nel migliore dei casi perdigiorno nichilisti, insomma gente la cui presenza in Europa appare discutibile anche senza il grande passo della “radicalizzazione”; c) Proprio la possibilità che musulmani non praticanti possano all’improvviso uccidere e farsi uccidere in nome di una visione estrema e fondamentalista dell’Islam fa venir meno la distinzione fra “moderati” ed “estremisti”: tutti possono, da un giorno all’altro, “radicalizzarsi”, quindi tutti sono potenziali stragisti.
Ovviamente il pensiero dominante è ben lungi dal tirare queste elementari conclusioni. Il meccanismo logico, al contrario, è il seguente: noi abbiamo creato la più perfetta e tollerante delle società, se poi gli immigrati “si radicalizzano” è perché siamo stati ancora troppo poco tolleranti e perché la nostra visione del mondo priva di sacro non è stata affermata con adeguata forza, tanto da far riemergere pulsioni ancestrali. Serve, allora, più tolleranza, più inclusione, più illuminismo. E così via, con un’intera società che crede di poter guarire dalla malattia inoculandosi dosi sempre maggiori di virus. Una visione più lucida e più onesta dovrebbe invece riconoscere che, se gli immigrati non sono sempre criminali e men che mai sono sempre terroristi, l’immigrazione è un meccanismo con una portata criminogena e sradicante colossale. È una macchina che crea disagio esistenziale e sociale, che priva le persone dei più elementari riferimenti simbolici, che crea nuovi poveri, che genera nuove patologie mentali, che funge da incubatrice per rancori atavici. La “radicalizzazione” è uno dei suoi possibili effetti, il più drammatico, ma non certamente l’unico. Si tratterebbe, a questo punto, di mettere in discussione i pilastri stessi del male, le fondamenta di questo modello di società. Ma non lo faranno, non lo possono fare. Ed è per questo che ci ritroveremo con un mondo sempre più “radicalizzato”.
Adriano Scianca