Roma, 10 giu – La Storia è fatta di episodi: alcuni tragici altri gloriosi; tutti comunque fanno parte del retaggio fondante lo spirito di un popolo che nel loro ricordo perpetua la propria memoria collettiva. Uno di questi è sicuramente quello che viene definito “Impresa di Premuda”, quando due Mas della Regia Marina al comando di Luigi Rizzo, affondarono la corazzata austriaca Santo Stefano (Szent Istvan) il 10 giugno del 1918 al largo dell’isola di Premuda, nel mare Adriatico.
Prima di addentrarci nella narrazione di quell’azione epica occorre fare un inquadramento storico per capire come si giunse ad un tale episodio che contribuì, più per i suoi effetti sul morale del nemico che per il reale risultato militare, alla sconfitta dell’Austria-Ungheria nel primo conflitto mondiale.
La guerra navale in Mediterraneo, e soprattutto in Adriatico, non vide mai, durante quel conflitto, lo scontro tra grosse formazioni navali come in altri teatri: si pensi alla battaglia dello Jutland o a quella delle Falkland dove la flotta inglese e quella tedesca si diedero battaglia in mare aperto coi grossi calibri. In Adriatico, a causa della natura stessa del bacino di mare racchiuso tra la penisola italiana e i Balcani, le flotte dell’Italia e dell’Austria-Ungheria rimasero prevalentemente nei porti, rispondendo a quel concetto che viene chiamato di “fleet in being”. Pertanto gli scontri navali assunsero la forma di una guerriglia caratterizzata da brevi azioni “mordi e fuggi” ad opera del naviglio minore, o sottile. Questo tipo di strategia aveva serie ripercussioni sul morale degli equipaggi delle capital ship dell’epoca, le corazzate, e soprattutto tra gli austriaci: l’esercito austroungarico aveva avuto la sua battuta d’arresto sulla linea del Piave ed occorreva un successo navale che galvanizzasse le truppe in occasione di quella che, negli intendimenti degli Stati Maggiori austriaci, doveva essere la “spallata finale” che avrebbe portato alla definitiva rottura del fronte terrestre e quindi all’uscita dell’Italia dal conflitto. Pertanto l’Ammiraglio Horty, comandante in capo della flotta austriaca, mise a punto un’operazione volta a forzare il blocco navale alleato in Adriatico utilizzando il grosso della sua flotta. Il piano consisteva nel radunare di sorpresa tutte le corazzate nel basso Adriatico per poter distruggere le forze leggere di base a Brindisi e fare strage dei “drifters” nel Canale d’Otranto prima che le corazzate italiane a Taranto e Corfù avessero il tempo di intervenire; tutto fu messo a punto con cura e la flotta, articolata in 8 gruppi, lasciò le basi di Pola e Cattaro tra la sera dell’8 e la giornata del 9 giugno, comandata da Horty in persona che alzava le sue insegne sulla Viribus Unitis. Il piano austriaco però fallì, e quasi per caso: lo spionaggio italiano raccolse qualche notizia frammentaria e parzialmente inesatta che però causò attività di ricognizione aerea nel medio e basso Adriatico. Nel pomeriggio del 9 poi la flotta austriaca fu parzialmente avvistata da parte di velivoli e sommergibili alleati, fatto che provocò l’uscita in mare delle unità leggere a protezione dello sbarramento dei “drifters”; inoltre un problema alle macchine causò il ritardo del gruppo navale S. Stefano – Tegetthoff che scendeva da Pola lungo l’Adriatico, ritardo che lo fece incappare nei Mas di Luigi Rizzo.
Rizzo era partito la sera del 9 da Ancona con i Mas 15 e 21 per una missione di routine: dragare con rampini esplosivi le acque fra le isole di Gruiza e di Premuda, poi lasciare la zona alle 02:30 e tornare alla base. La missione si svolse come previsto e senza intoppi, alle 02:30 Rizzo diede ordine di rimettere la prora dei Mas in direzione delle torpediniere che avrebbero dovuto trainarli sino ad Ancona. Mentre i Mas si stavano muovendo verso il punto di ritrovo, Rizzo, in piedi a prora, scorse all’orizzonte il classico pennacchio di fumo nero che esce dai fumaioli delle grandi navi. In quel momento non sa che tipo di unità potrebbe trovarsi davanti: potrebbero essere delle torpediniere austriache uscite da Lussino per venirgli addosso, in tal caso il manuale suggerirebbe un rapido disimpegno. Rizzo però è un uomo di una pasta totalmente diversa e decise di osare l’inosabile prevalendo in lui l’animus pugnandi che lo ha sempre caratterizzato: senza dubbi o perplessità, seguito immediatamente da Aonzo al comando del Mas 21, diresse verso il fumo.
Lasciamo ora la parola al protagonista di questa azione che ci racconta lo scontro attraverso il suo rapporto: “Diressi in modo da portarmi all’attacco passando fra i due caccia (in realtà erano le torpediniere 77 e 76 ndr) che fiancheggiavano la prima nave. Riuscii ad oltrepassare di cento metri la linea dei due caccia ed a lanciare i due siluri contro la prima nave a una distanza di non oltre trecento metri. I due siluri colpivano e scoppiavano sollevando due grandi nuvole d’acqua e fumo nerastro. […] Il cacciatorpediniere alla mia sinistra, accortosi del lancio, dirigeva per tagliarmi la ritirata riuscendo, ad evoluzione compiuta dal Mas, a mettersi nella mia scia ad una distanza da 100 a 150 metri. Apriva il fuoco con un solo pezzo con colpi ben diretti ma leggermente alti che scoppiavano a prora. […] Lanciai una seconda bomba che scoppiò vicino alla sua prora. Esso accostò immediatamente di 90 gradi ed io, con accostata a sinistra, ne aumentai la distanza perdendolo poco dopo di vista”.
La Santo Stefano era colpita a morte, pochi uomini su due “gusci di noce” avevano affondato una delle più temibili corazzate austriache. La nave, lunga 151 metri, larga 27, di 20mila tonnellate di dislocamento non resse alle vie d’acqua aperte dai due siluri del Mas di Rizzo. Nonostante gli sforzi del comandate Seitz, che intendeva portarla ad incagliarsi nelle secche della vicina isola di Melada, le paratie stagne saltarono e la potente nave sbandò sul lato di dritta sino a capovolgersi. I suoi 12 cannoni da 305 mm non ebbero mai modo di sparare un solo colpo verso il nemico, sorte che toccò, peraltro, anche alle nostre navi da battaglia. A bordo della Tegetthoff vi era un operatore cinematografico che riprese tutta la scena, consegnandola alla storia. La nave colò a picco alle 06:05 del mattino del 10 giugno 1918 portando con sé la vita di oltre cento marinai; anche italiani, dato che molti provenivano da quelle terre irredente che ritornarono alla Madre Patria solo a seguito della vittoria nel primo conflitto mondiale.
L’affondamento della Santo Stefano fu la più straordinaria impresa navale di tutta la guerra e a partire dal 1939, in memoria di quel fulgido esempio di ardimento e virtù marinaresche, la Marina Militare celebra in quella data i propri festeggiamenti. Per quest’impresa Luigi Rizzo ebbe la sua seconda Medaglia d’Oro al Valor Militare, dopo quella conquistata per l’azione nella rada di Trieste del 10 dicembre 1917 quando affondò la Wien al comando del Mas 9, divenendo uno degli uomini più decorati della storia d’Italia.
Paolo Mauri
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Eccellente articolo.