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Così Mussolini aiutò Gramsci in carcere

by Giorgio Nigra
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gramsciRoma, 30 mag – La retorica resistenziale e, più in senso lato, antifascista, si nutre di tante piccole fandonie, per lo più aneddotiche, che sommate mirano a creare una visione d’insieme fraudolenta. Ma ogni tanto una crepa si allarga nel muro. A volte persino a partire dai media ufficiali. È il caso del sorprendente articolo sul caso Gramsci uscito oggi sul Corriere della Sera a firma Franco Lo Piparo, ordinario di Filosofia del linguaggio all’Università di Palermo.

Lo studioso parte dalla famosa frase attribuita al pubblico ministero (ma, nella vox populi, talvolta anche allo stesso Mussolini): “Per venti anni dobbiamo impedire a questo cervello di funzionare”. Ebbene, tanto per cominciare: in tutti gli atti del processo, pubblicati integralmente nel 1961, non c’è traccia della frase incriminata, che verrà infatti messa in circolazione da Togliatti e subito ritenuta verità provata. E fu sempre Togliatti a raccontare di come la cognata di Gramsci fosse riuscita a trafugare i Quaderni dal carcere dalla cella, approfittando del trambusto nel giorno della morte del pensatore comunista. Peccato che Gramsci non sia morto in carcere ma alla Quisiana, una delle cliniche più costose della capitale. La tesi di Lo Piparo è che Mussolini in persona, dopo un arresto formalmente illegale (Gramsci era coperto da un’immunità parlamentare), abbia messo in piedi “una specie di rete di protezione” nei confronti del detenuto d’eccezione.

Tanto per cominciare Gramsci, nelle lettere, descrive una cella molto grande e ben attrezzata, in cui vive da solo. A partire dal febbraio 1929 può usare carta e penna, nonché servirsi di libri diversi da quelli della biblioteca del carcere. E quando il direttore glieli nega (si tratta di opere di Marx, Trotsky etc), lui scrive a “Sua Eccellenza il capo del Governo” per averli. E l’autorizzazione puntualmente arriva. Dal dicembre del 1933 fino alla morte (aprile del 1937), Gramsci esce dal carcere. Prima si trova in una clinica di Formia, poi alla Quisiana. Dodici dei 33 Quaderni sono stati redatti nelle cliniche, tant’è che Lo Piparo ironizza: “Correttezza filologica vorrebbe che venissero chiamati Quaderni del carcere e delle cliniche”. Alla Quisiana la vigilanza è molto blanda, di fatto dalla clinica entra e esce più o meno chiunque. E la Banca commerciale italiana contribuisce alle spese.

Insomma, se il fascismo voleva “impedire a quel cervello di funzionare”, ha sicuramente sbagliato tutto, facendo qualsiasi cosa affinché i Quaderni dal carcere venissero scritti nelle migliori condizioni, cosa che ancora oggi sarebbe ben più difficile per un qualsiasi detenuto accusato di aver attentato alla sicurezza dello Stato. Forse è giunto il momento che qualcuno impedisca al cervello degli storici di non funzionare.

Giorgio Nigra

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7 comments

bfl 30 Maggio 2016 - 11:00

Che grande uomo allora, rinchiude gli oppositori politici in carcere concedendo loro addirittura l’uso di carta e penna. Effettivamente a Matteotti non andò così bene, ma faceva ancora pratica. Forza, voi che non impedite ai cervelli di pensare, non pubblicate il commento.

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Anonimo 31 Maggio 2016 - 2:09

Ma in fin dei conti a Matteotti è andata bene.Guarda ai Romanov,non si sono certi fermati a Nicola II,ma hanno fatto un bel quadretto famigliare di sangue al muro.
E che dire di tutti quelli assassinati da Stalin?Gli ucraini si che stavano bene,morivano di fame eh,ma almeno erano liberi di morire dove volevano,non certo in una prigione buia,ma al sole,nelle piazze,circondati da tutti gli affetti.
E le foto taroccate?Ora sorridente vicino a Stalin e il giorno dopo solo acqua.

Eppure a Gramsci,per i suoi scritti che ora piagano il mondo con il marxismo culturale,io,avrei fatto di peggio.Purtroppo Mussolini,scusatemi il termine, era un pirla innamorato degli italiani e non ha mai fatto quello che Stalin fece.Ed è per questo che fu ucciso dagli stessi italiani,credeva di avere i tedeschi pronti a combattere da bambino ad anziano fino alla fine,invece si trovò gente che il giorno prima sfilava di nero e il giorno dopo andava con il fazzoletto rosso al collo.

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VB 30 Maggio 2016 - 11:30

http://www.corriere.it/cultura/16_maggio_29/antonio-gramsci-quaderni-del-carcere-prigionia-fascismo-56a19fa0-25ab-11e6-8b7b-cc77e9e204b3.shtml
Se non ti piace questo articolo c’è anche sul Corriere della Sera. Se indico la Luna la guardi o osservi il mio dito?

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Anonimo 30 Maggio 2016 - 12:18

In questo video che ho trovato in rete ,se ne parla ed aveva anche un fratello che la storia non racconta https://www.youtube.com/watch?v=-sq01jj9eZQ

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Anonimo 30 Maggio 2016 - 4:52

Col senno di poi, diciamo che va bene così, visto che poi è morto precocemente. Altrimenti… Mettetevi in testa che a fare i magnanimi magari soddisfiamo il lato buonista del nostro ego, ma poi i compagni ce li ritroviamo tra i coglioni, sottoforma di Boldrini e simili, a dirci cos’è giusto e cos’è sbagliato e imporci le loro regole, and this no buono, sir. Al muro, sempre, dovunque e comunque!

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fritz 30 Maggio 2016 - 11:57

kirov,trostky,etc lubjanka,ghepeu,grandi purghe…se gramsci
fosse andato nel paradiso sovietico…..chissa’
bombacci arrivato dalla russia sovietica…cambio’ idea.
ma non l’hanno cambiata anche quelli del pd.
dal pci poi pds poi ds e ora pd.
renzi figlioccio di berlinguer teorico con moro delle convergenze
parallele….e ora tutti fedeli al grande capitale.
lenin e parvus insegnano…

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Alessandro Maurizi 31 Maggio 2016 - 9:24

MI pare che la clinica fosse la Quisisana. O no?

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