Roma, 15 apr – Messo all’angolo per un euro. Anzi, un euro e tredici centesimi. Sì, perché in questa storia i dettagli, anche minimi, sono importanti. Protagonista della vicenda, narrata da La Tribuna di Treviso, è Giampaolo Fassa, ultrasettantenne trevigiano, titolare assieme al figlio di un’impresa che opera nel campo edilizio, la Fassa&P. Srl. Qualche giorno fa, il signor Giampaolo è andato ad acquistare una fornitura di materiale edile del valore di 26 mila euro. Niente da fare, l’operazione non è possibile. Fassa rimane di stucco: è stato iscritto a sua insaputa nel registro dei cattivi pagatori. L’imprenditore fa mente locale e capisce dove deve essere sorto l’inghippo: nel 2009 era stato raggiunto da un’ingiunzione di pagamento da parte di Equitalia.
C’erano di mezzo un numero notevole di multe non pagate. Era anche stata registrata un’ipoteca sulla sua abitazione. Brutta botta, ma basta rimboccarsi le maniche e se ne esce. Fassa paga quindi 72 rate mensili, terminate il 10 agosto del 2015. Tutto bene quel che finisce bene. Ora, però, arriva il fulmine a ciel sereno: cattivo pagatore? E perché mai, se aveva saldato sino all’ultimo centesimo? Giampaolo va a chiederlo a Equitalia e scopre che no, i centesimi versati non erano tutti. Mancava un euro e tredici centesimi: 1,01 di interessi di mora oltre a 0,12 centesimi di aggio di riscossione. E la sua casa era ancora ipotecata. Fassa paga seduta stante un euro e 50, e il resto lo lascia come “mancia”. Ora, però resta lo scoglio più grosso: uscire dall’elenco dei cattivi pagatori.
«L’impiegata – racconta lui – mi ha risposto che per concludere la pratica, con provvedimento di urgenza, ci vorranno 15 giorni». Certo suscitano amara ironia queste storie di intransigenza burocratica in un Paese in cui tutto va quasi sempre a tarallucci e vino. A maggior ragione se tale debito nasce da un errore di Equitalia e non da una furbata del debitore, che tanto furbo neanche sarebbe, viste le conseguenze. Del resto la faccenda è seria, al di là della storia singolare. Secondo l’impiegata, l’incubo del signor Fassa finirà entro 15 giorni. Sarà. Di fatto uscire dalla blacklist non è così semplice. I dati relativi al mancato pagamento di una o più rate restano infatti visibili nei Sistemi di Informazioni Creditizie per 12 mesi per ritardi nel pagamento di 1 o 2 rate, per 24 mesi per ritardi nel pagamento di 3 o più rate, per 36 mesi in caso di prestiti non rimborsati o con morosità gravi. Le tempistiche si calcolano a partire dalla comunicazione di avvenuta messa in regola con i pagamenti.
In queste sabbie mobili resta impelagata una quantità crescente di italiani. Si tratta, tuttavia, di una condizione che, nel pieno della crisi, rappresenta di fatto “la morte civile” per un imprenditore che non otterrà più altri finanziamenti. A vigilare sui nostri pagamenti sono i Sistemi di informazioni creditizie (Sic) che raccolgono i dati su tutti i contratti di prestito che banche e finanziarie stipulano con i clienti. Le più note sono Crif, Experian e Ctc. Ne nasce una vera e propria anagrafe dei pagatori, a cui le banche attingono per verificare l’affidabilità creditizia del cliente. Entrarci, nella lista, è più facile che uscirne: al primo ritardo, se il mancato pagamento della rata si prolunga per più di 2 mesi consecutivi, il dato viene registrato nei Sic, ma se non altro siete avvisati 15 giorni prima. Per i ritardi successivi al primo, ogni mancato pagamento può essere segnalato nei Sic, senza preavviso. Dopodiché comincia la trafila infernale: se siete segnalati come cattivi pagatori ottenere un prestito, un mutuo, un fido sarà impossibile e le banche avranno la discrezionalità di negarvi anche l’apertura di un conto corrente o il rilascio di un bancomat. Non è una bella situazione, per un imprenditore. Lo è ancora meno se ci si finisce per un euro. E tredici centesimi.
Adriano Scianca