Belgrado, 12 apr – Diciassette anni fa alle ore 11.40 due missili AGM-130 lanciati da un F-15 Strike Eagle della Nato colpivano il treno passeggeri n°393 in viaggio da Belgrado a Ristovac con a bordo un centinaio di persone. L’attacco rientrava nell’operazione Allied Force della Nato contro la Repubblica Federale Jugoslava, una campagna che aveva come “obbiettivi strategici” principalmente siti militari, ma che già dalla metà dell’aprile del ’99 aveva ampliato i suoi target, sull’onda dell’enfasi politica che la guerra civile jugoslava stava causando e che aveva portato il comando militare delle operazioni ad includere tra i bersagli anche obiettivi economici, come mezzi di trasporto e in particolare i ponti. Per questo la mattina del 12 aprile 1999 il cacciabombardiere Nato inquadra nel suo radar il ponte sulla gola di Grdelica, lo “aggancia”, come si dice in termini militari, e spara il primo missile. Solo che sulla tratta ferroviaria Niš – Presevo, 300 km a sud di Belgrado, sta viaggiando il treno civile n°393 con il suo “carico umano” a bordo, ignaro di essere diventato da qualche settimana un “obbiettivo strategico” della Nato. Il destino è atroce e beffardo, il missile investe il treno in pieno e squarcia il vagone, le lamiere si squagliano e si contorcono e la corsa del treno si spegne poche decine di metri dopo il ponte incredibilmente rimasto intatto. La struttura di metallo del ponte ha retto l’impatto anche del secondo missile che ha raggiunto il primo nei pressi del treno ma per i passeggeri non c’è stato scampo, 14 civili, tra cui molti bambini e una donna incinta sono stati uccisi e altri 16 rimangono gravemente feriti.
Il generale Wesley Clark, al tempo Comandante supremo alleato in Europa (SACEUR), dichiarò che al momento, “Il treno stava viaggiato troppo veloce e la bomba era troppo vicino al bersaglio per poter deviare in tempo” e che, come è vero, il primo missile era stato sparato da una distanza significativa dal bersaglio cosa che aveva reso impossibile al pilota di riconoscere il treno civile sul binario. Un’errore quindi, tragico ma involontario, se non fosse che il pilota, resosi conto che il treno era stato colpito, ma credendo di poter ancora completare la missione, essendo il ponte intatto, fece un altro passaggio e sparò un secondo missile che anch’esso colpi il treno, “colpevole” sempre secondo il Supremo comandate Clark di non essersi fermato dopo il primo colpo ma di aver proseguito per inerzia sui binari semi nascosto dalla polvere e dal fumo nella “zona bersaglio“. A sostegno della tesi dello “sconcertante errore” – sempre Clark – venne in seguito mostrato, dalla Nato, un video ripreso dalla “Gun camera” dell’F-15 per dimostrare come la velocità della manovra avesse reso impossibile al pilota di correggere il tiro dei missili, ma si scopri ben presto che il video era stato manomesso aumentando la velocità del filmato di quattro volte e mezza per rendere la versione più credibile.
Anche Amnesty dichiarò che l’attacco sembrava aver violato l’articolo 57 del protocollo che prevedeva l’annullamento o la sospensione di un’azione quando diventa chiaro che l’obiettivo è “non militare” o, in altro caso, se l’attacco può causare la perdita accidentale di vite civili in numero eccessivo rispetto al vantaggio militare concreto e diretto previsto”. In seguito a questa vicenda il Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia (ICTY) istituì una commissione – maggio 1999 – per determinare se fossero stati commessi reati in materia di diritto internazionale ma il procuratore generale Carla Del Ponte, ritenne che ” la portata dell’attacco era stato proporzionata e il ponte era un obiettivo militare legittimo. Il treno passeggeri non è stato deliberatamente preso di mira e che l’addetto al lancio dei missili non è riuscito, nel breve tempo, a riconoscere l’arrivo del treno, mentre la prima bomba era in volo” Si dichiaro in fine che l’episodio “non fornisce una base sufficiente per avviare un’inchiesta“. Ancora oggi questa strage rimane senza colpevoli, ci sono solo le vittime di cui, a diciassette anni di distanza, possiamo soltanto ricordare i nomi: Zoran Jovanović, trentacinque anni di Niš, Petar e Zorka Mladenović quarantasette anni, di Nis, Ana e Ivan Marković, ventisei anni, da Leskovac, Jasmina Veljković, vent’otto da Stalac, Vidosav e Dunja Damjanović con il loro figlio Branimir di cinque anni e Simeone Todorov di trentuno. Degli altri corpi l’identificazione fu resa impossibile a causa della condizione dei corpi straziati dal missile.
Alberto Palladino
3 comments
Come la scuola di Gorla ? etc…..
Sono i buoni quindi a loro tutto è permesso ,concesso e mai punito
Onu ? comandi signor si