Roma, 5 apr – #Italiariparte, ma i numeri dicono tutt’altro. Sarà +1.6% come da previsioni? Assolutamente no: Nel prossimo Def ci si attende un ribasso attorno al +1.3/+1.4%, ma non è escluso che la revisione possa essere ancora più consistente. C’è chi parla addirittura di un +1%. Abbastanza per far parlare l’Istat di “decisa decelerazione” della nostra economia.
L’istituto di statistica, nelle sue rilevazioni periodiche sullo stato di salute dell’Italia, non viene infatti in aiuto dell’ottimismo di marca renziana. Gennaio è stato sì un mese di discreti risultati, quasi tutti però vanificati dalle pessime prestazioni di febbraio e marzo. L’incremento nella produzione industriale è, spiegano dall’istituto, “decisamente più contenuto se si considera la media degli ultimi 3 mesi (novembre-gennaio) rispetto al trimestre precedente”, con tutti gli indicatori del settore manifatturiero che “sembrano confermare la fragilità dell’attuale fase”. E’ vero che a gennaio il fatturato dell’industria ha segnato +1%, ma “nella media degli ultimi tre mesi, tuttavia, l’indice complessivo è diminuito dello 0,6%, con cali significativi nei comparti dell’energia (-5,1%) e dei beni strumentali (-1,9%)”.
Il quadro internazionale certo non aiuta, ma l’Italia non sembra trarre prese di beneficio né dalla (pur piccola) perdita di valore dell’euro né dai corsi depressi del prezzo del petrolio. Le esportazioni extra-Ue sono ferme in valore assoluto ai livelli del 2013, in deciso calo rispetto ai massimi toccati lo scorso anno. Non segnano particolari miglioramenti neanche quelle interne all’Unione, anch’esse sostanzialmente ferme. Una dinamica, questa, esiziale per la contabilità nazionale: in regime di svalutazione, con la domanda interna colata a picco, quella estera dovrebbe rappresentare – ma così non è – una valvola di sfogo, sia pur insufficiente, per l’industria italiana.
Non va meglio per le famiglie ed il lavoro. “Nel quarto trimestre 2015 il potere d’acquisto ha subito un calo (-0,7%) rispetto al trimestre precedente, a riflesso di una flessione del reddito lordo disponibile (-0,6%)”, si legge nel bollettino. Gli acquisti continuano a salire (+0.4%) solo grazie al “ribasso della propensione al risparmio che ha reso possibile la prosecuzione della tendenza positiva dei consumi”. In altre parole: si risparmia meno, minando però così, in parte, le basi per una stabilità di lungo periodo. Stesso discorso per quanto riguarda i dati su disoccupazione ed occupazione: con il termine degli sgravi contributivi il Jobs Act non basta più – ammesso che sia mai servito – e le imprese tornano a non assumere, facendo risalire il tasso di senza lavoro all’11.7%.
Filippo Burla