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Tanto petrolio e poca finanza: ecco come Eni surclassa i concorrenti

by Filippo Burla
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Eni cantiere trivelleRoma, 5 apr – Fare il proprio mestiere, farlo bene, concentrarsi sull’attività e riuscire a battere la concorrenza anche in un contesto di mercato che definire sfavorevolissimo è un pallido eufemismo. Può sembrare banale, ma la strategia di Eni paga – e lo fa con discreti risultati – permettendo al cane a sei zampe di recuperare costantemente terreno in un settore dove la concorrenza è agguerrita, spietata, all’ultimo sangue.

Non tragga in inganno il bilancio appena pubblicato, chiuso con quasi nove miliardi di rosso. I corsi del greggio sono a livelli di depressione, il tutto incidendo anche sui ricavi. Nonostante il -47% dell’indice Brent, tuttavia, la cassa operativa generata ha perso nell’anno solo il 15% rispetto ai dodici mesi precedenti. E qui viene il primo elemento che differenzia Eni da altre società: l’anno scorso è stato tagliato (di quasi il 30%) il dividendo, passato da 1.12 a 0.8 euro ad azione e confermato anche per il 2015 . Una mossa che ha depresso il valore di Borsa ma che segue una logica inappuntabile: il dividendo si paga con la cassa generata, fare debito per soddisfare gli azionisti non è nelle corde di Eni. “Siamo stati gli unici – spiega l’amministratore delegato, Claudio Descalzi – a tagliare la cedola perché avevamo, e abbiamo ancora, come obiettivo la neutralità finanziaria: coprire con la cassa operativa dividendo e investimenti“.

Il prezzo del petrolio cala? Niente paura, accanto alle ovvie coperture tecnico finanziarie – dalle quali non si può comunque prescindere, al di là di tutte le buone intenzioni – intervengono soprattutto le attività “centrali” in quella che è la dimensione di San Donato Milanese. Ecco spiegata la decisa accelerazione, da qualche anno a questa parte, nel campo dell’esplorazione e produzione. Mentre gli altri si affidano alla carta per compensare la scarsa marginalità, Eni mette a segno, per fare due esempi, i colossali colpi in Mozambico ed Egitto. Non sorprendano le decisioni successive: cedere quote di questi giacimenti significa, mantenendo comunque l’operatività dei giacimenti in capo ad Eni, incassare miliardi da reinvestire all’interno di un circolo virtuoso che ha permesso, negli ultimi 7 anni, di trovare qualcosa come 12 miliardi di barili, quasi due volte e mezza la produzione di tutto quel periodo. Senza poi considerare, inoltre, che le nuove scoperte abbassano l’asticella del punto di pareggio dalla precedente (attorno ai 40-45 dollari al barile) a meno di 30, sufficiente per restare a galla anche con Brent e Wti in caduta libera.

Filippo Burla

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