Roma 6 Apr – Il film sulla tragedia di Ustica, a 30 anni di distanza, è riuscito in una incredibile impresa, quella di creare ulteriore caos in quello che forse è uno dei più confusi, (e insabbiati), fra i misteri italiani. A dire il vero nel film di Martinelli la verità c’è, ed è proprio questo il problema, che ce n’è troppa, anzi ce ne sono troppe, nel film, infatti, ci sono tutte le verità, le versioni e tutte le ipotesi che negli anni si sono susseguite, smentite, stratificate e sedimentate sulla vicenda tragica del Dc 9 Itavia. Il volo civile sigla I-TiGi Bologna Palermo scomparve dai radar il 27 giugno del 1980 con 81 persone a bordo diventando immediatamente il caso più grave di incidente aereo di quegli anni, mentre ancora si cercava di recuperare le spoglie pietosamente restituite dal mare, già cominciavano a darsi battaglia i sostenitori delle diversi tesi che hanno fino ad oggi accompagnato la vicenda. Sin dalle battute iniziali il film abbraccia in toto la tesi che un MiG libico, coautore (quanto meno) della strage, avesse approcciato il DC-9 Itavia dalle fasi iniziali del suo rientro verso la Libia del colonnello Gheddafi. Il film ce lo fa vedere chiaramente, con tanto di ufficiale superiore libico che spiega il piano di volo al giovane pilota raccomandandogli di “agganciarsi” ad una aereo civile – che nel dialogo sarebbe dovuto essere un Air Malta- per farsi trasportare in incognito fino a destinazione. Questa tesi e il film stesso tirano in ballo a sostegno del postulato un “segretissimo” accordo che i servizi segreti italiani avrebbero stretto con il Colonnello che garantirebbe appunto agli aerei libici di “scroccare” passaggi sicuri sulla penisola italiana, in cambio ovviamente, dei favori e dei soldi del Rais. Ed è proprio così che il film entra nel vivo con il MiG che parte da Banja Luka, base aerea di riparazione MiG in ex Yugoslavia, e comincia a scendere verso la Libia. In primis non si capisce perché un aereo che debba rientrare dall’attuale Bosnia e andare in Libia scelga, invece di correre a sud sopra l’Adriatico, di attraversare l’Italia e scendere ben al centro del mar Tirreno, in pieno campo d’azione dei radar Nato, ma comunque, “così è se vi pare ” e la rotta del MiG fatalmente si incrocia con quella dell’aereo di linea italiano.
Ora, per dirla tutta, va ricordato che lo stesso Dc-9 Itavia, che a questo punto viaggia con il MiG clandestino sotto di se, incrocia in volo il “collega” I-TIGA Bergamo-Roma, codice trasponder 1133, che vola nella stessa direzione di I-TIGI Bologna Palermo, codice trasponder 1136, e non risulta che i piloti, sebbene a distanza visiva, abbiano segnalato alcun che attaccato sotto al DC-9 di Ustica. Distrazione? Oppure ogni pilota di linea dell’epoca sapeva, accettava e cooperava con l’accordo segreto Italia Libia per il transito degli aerei? Il film fissa le immagini e sentenzia, l’aereo clandestino c’era ed era sotto al Dc-9. Ad un certo punto la trama sembra virare, finalmente, verso quella che ad oggi ci appare come la tesi più accettabile e comincia a indagare e spiegare la vicenda del MiG libico precipitato sui monti della Sila nella cosiddetta gola di Timpa delle Megere, ad onor del vero non si pone alcun dubbio sul fatto che il MiG abbattuto fosse coinvolto nella vicenda Ustica -ed era ora – ma quando sembra essere arrivati al punto in cui una buona, anzi ottima, occasione di raccontare la verità può trovare il suo compimento, il castello di carte cade e inizia la discesa vorticosa verso il caos, la confusione, il complotto mozzo, senza capo ne coda, una tesi sterile, sciocca, neanche smontabile, irricevibile. Infatti proprio quando entra in ballo il fattore chiave di tutte e due le vicende cioè quella legata agli abbattimenti dei due velivoli (Dc-9 e MiG), quando si comincia a parlare di missili e di operazioni militari nei cieli di Ustica tutto si deteriora fino ad arrivare a riproporre la tesi incredibilmente banale della collisione in aria. Cioè ad affermare, anzi a riprodurre cinematograficamente, che un caccia Usa si sia accidentalmente schiantato in volo con un aereo di linea per inseguire, come in un gioco, il MiG intruso. Dalle perizie, sia quelle di parte civile sia quelle della compagnia Itavia, si evince chiaramente che a colpire il DC-9 quella giornata d’estate fu un missile, né un cedimento strutturale, né la ridicola bomba al bagno, ma un missile. E se c’è un missile ci deve essere un aereo che lo spara e quindi anche un bersaglio. Di sicuro c’è che quel Dc-9 sì è trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato o meglio quella guerra aerea si è combattuta nel posto sbagliato. Un combattimento forse, o un attacco mirato tra aerei militari, che in un modo o nell’altro ha creato la situazione tragica per cui ad un certo punto, un missile a guida radar, con caratteristiche di dimensioni, potenziale esplosivo ed efficacia che sono riconducibili ad un solo missile di fabbricazione sovietica, sia sparato verso un bersaglio.
Il perito di parte civile Ing. Di Stefano afferma che: “All’epoca l’unico missile che assommasse le caratteristiche necessarie (classe più piccola, guida radar SARH e portata) era il sovietico AA2-2 Advanced Atoll SARH. Questo missile fa sistema d’arma con il velivolo Mig 23 MF (versione Export), che è dotato di radar Jay Bird (codice NATO), e i cui dati in letteratura indicano una portata di 29 Km in ricerca e 19 Km in tiro (Bill Gunston, “The Mig 23”, Ed Osprey). Questo era il dato di cui ero in possesso nel 1990. In realtà ormai se ne può sapere molto di più: il radar montato sul MIG23 MF è lo Sapfir-23E (denominazione russa dello Jay Bird), che è poi a sua volta lo Sapfir-23D con piccole differenze. La portata in “ricerca” è indicata in 55 Km per un bersaglio delle dimensioni del Tupolev 16 (un bombardiere medio, quindi paragonabile per dimensioni al DC9) e di 45 per un bersaglio delle dimensioni del Mig21 (quindi un piccolo caccia, uno dei più piccoli in servizio al mondo). La portata in “tiro” è invece indicata in 35Km. Quindi, come si vede, prestazioni ancora maggiori rispetto a quelle che riportava nel ’90 la letteratura specializzata e del tutto congruenti con le posizioni e distanze che abbiamo esaminato. Potete verificare alla pagina del MIG Design Boreau dedicata al radar Sapfir. E’ il sito della Mikoyan-Gurevich, I Mig li fanno loro, e quindi si presuppone che i dati riportati siano corretti. Poiché la portata di un missile a guida radar varia sostanzialmente con la portata del radar che lo guida, potremo dire che nella posizione reciproca fra i velivoli la capacità d’offesa di questo sistema d’arma sia operativa. Quindi a parer mio il sistema d’arma colpevole dell’abbattimento è questo.”
Sistema d’arma sparato verso un bersaglio che è lecito pensare come nemico, quindi un aereo occidentale della Nato, che però per sorte o destrezza riesce a sganciarsi dalla traiettoria del missile che quindi, sfruttando il sistema radar che segue le onde che rimbalzano su oggetti metallici entro una certa distanza, si va fatalmente ad agganciare alla massa, molto più grande, del Dc-9 Itavia che percorreva ignaro la sua rotta ad alcune miglia di distanza. Il valore aggiunto dell’analisi dei dati tecnici e degli armamenti è che riconoscendoli si può risalire a chi li utilizza soprattutto se il mondo in quel momento storico è diviso in due grandi blocchi militari, cristallizzati attorno a due enormi bacini di approvvigionamento bellico quello occidentale Usa e quello sovietico del patto di Varsavia e paesi amici. E’ proprio questo schema che possiamo usare per analizzare la seconda “vittima” di questo intricato delitto aereo che è proprio il MiG caduto sulla Sila abbattuto anch’esso da un missile, stavolta Nato, che ne lascia anche segni inconfondibili sulla carlinga, tanto che anche nella perizia Priore se ne fa menzione restringendo il campo all’arma aria aria Sparrow, appunto in dotazione fra gli altri agli intercettori Tomcat di stanza a Sigonella in Sicilia. Ma, come abbiamo detto, quando questa teoria con sorpresa viene enunciata da uno dei personaggi principali del film, immediatamente viene smontata e cestinata in fretta e la storia si fa contorta, tanto da non riuscire più ad appassionare lo spettatore che alla fine del film rimane basito dalla ricostruzione del tamponamento aereo. Per non gettare via il “bambino con l’acqua sporca” va detto come appunto in uno dei rottami di verità che il film ci offre va in scena un dialogo importantissimo tra l’onorevole indagatore e il medico intervenuto sul cadavere del pilota libico schiantatosi sulla Sila e finalmente ci sentiamo dire che ci fu una manomissione o una “correzione” sulla perizia autoptica del corpo che per molti anni fece credere che l’aereo fosse caduto per cause diverse dall’abbattimento e molti giorni dopo il Dc-9. Ma perché il film non ha osato dire tutto? Questo non è dato saperlo, probabilmente c’è stato il tentativo di spiegare tutto, troppo, o l’incapacità di scegliere una delle tesi e portarla avanti, magari perché – errore madornale- si è cercata la tesi partendo dalla conclusione che si vuole accreditare e quindi aggiustando i dettagli in base alla destinazione finale mandando la verità va in pezzi. In rottami appunto, come quelli del Dc-9 di Ustica chiusi in un hangar da tre decenni o come quelli del MiG libico abbattuto sulla Sila, mandati incredibilmente in un centro per essere usati nei test con gli esplosivi. Rottami come le vite spezzate degli 81 del Dc-9. Rottami, di un epoca passata, come chi ancora lavora con nostalgia per costruire una verità falsa e a cui speriamo almeno questo film abbia rovinato il sonno, per un attimo appena.
Però peccato.
Alberto Palladino