Roma, 25 mar – Stratega del terrore o sbandato di periferia? Jihadista della domenica o soldato politico del Califfato? Il profilo di Salah Abdeslam è sempre più enigmatico. Detenuto in Belgio in seguito alla sua cattura a Molenbeek e in attesa dell’estradizione in Francia – che lui ha prima rifiutato e poi auspicato – l’unico sopravvissuto del commando assassino del 13 novembre ha cominciato a parlare con gli inquirenti. Ma in quel che ha detto ci sono molte versioni di comodo rispetto a ciò che è veramente successo quella maledetta sera a Parigi.
Un primo interrogativo riguarda il motivo che lo avrebbe spinto a non farsi saltare in aria allo Stade de France, come invece avrebbe dovuto fare secondo i piani originari. Dal punto di vista dei terroristi, quel commando si è rivelato un vero fiasco: di quattro jihadisti suicidi, tre si sono fatti esplodere uccidendo una sola persona, senza neanche riuscire a entrare allo Stadio, mentre il quarto, Salah, ha rinunciato all’ultimo. “La sera degli attentati – ha detto Salah alla polizia belga – ero in una Renault Clio insieme a Bilal Hadfi e a altre due persone di cui ignoro il ruolo. Io guidavo la macchina, dovevo recarmi allo Stade de France per farmi esplodere dentro lo stadio insieme ai miei complici. Tuttavia ho rinunciato quando ho parcheggiato l’auto. Ho scaricato i miei tre passeggeri e poi ho rimesso in moto la macchina. Ho girato a caso, poi ho lasciato l’auto in un posto che non ricordo”. Il motivo della rinuncia, insomma, non è chiaro, anche se Abid Aberkan, il cugino presso cui era nascosto, avrebbe detto nei giorni scorsi agli inquirenti che Salah non si sarebbe fatto esplodere perché nella sua cintura mancava il liquido esplosivo.
Nel resto della nottata, comunque, Salah ha girato in metro e ha gettato la sua cintura, che poi sarà ritrovata giorni dopo in un cestino per l’immondizia di Montrouge. Poi ha contattato Mohamed Amri, un suo vecchio amico di Molenbeek, che con un’altra vecchia conoscenza, Hamza Attou, è venuto a recuperarlo a Parigi il giorno seguente e lo ha riportato in Belgio. Riguardo alla responsabilità sugli attentati, in ogni caso, l’uomo sta cercando di minimizzare le proprie responsabilità e gettare il grosso della colpa sul fratello e su Abaaoud. “Ho affittato un’auto e degli hotel in preparazione dell’attentato di Parigi. L’ho fatto su richiesta di mio fratello Brahim. Ogni volta che ho dovuto pagare qualcosa per preparare gli attentati, i soldi venivano da Brahim”. Il vero cervello delle stragi, secondo Salah, era però Abdelhamid Abaaoud, ucciso nel blitz del 18 novembre a Saint-Denis: “Mio fratello Brahim mi ha spiegato che Abaaoud era il responsabile dell’azione. Io l’ho visto a Charleroi, la notte fra l’11 e il 12 novembre 2015. È l’unica volta che l’ho incontrato in tutta la mia vita”. Questa, però, è una palese bugia: noi sappiamo, infatti, che Salah e Abdelhamid sono amici di infanzia e che sono stati interrogati insieme nel 2011 dopo una rapina. Insomma, l’ex viveur di Molenbeek continua a essere sfuggente come è sempre stato.
Giorgio Nigra