Tokio, 26 dic – “Abbiamo veduto il Giappone del dopoguerra rinnegare, per l’ossessione della prosperità economica, i suoi stessi fondamenti, perdere lo spirito nazionale, correre verso il nuovo senza volgersi alla tradizione, piombare in una utilitaristica ipocrisia, sprofondare la sua anima in una condizione di vuoto. Siamo stati costretti, stringendo i denti, ad assistere allo spettacolo della politica totalmente perduta in vischiose contraddizioni, nella difesa di interessi personali, nell’ambizione, nella sete di potere, nell’ipocrisia; abbiamo visto i grandi compiti dello stato delegati a un paese straniero, abbiamo visto l’ingiuria della disfatta subita nell’ultima guerra non vendicata, ma semplicemente insabbiata, abbiamo visto la storia e la tradizione del Giappone profanate dal suo stesso popolo. Abbiamo sognato che il vero Giappone, i veri giapponesi, il vero spirito dei samurai dimorassero almeno nell’Esercito di difesa nazionale”. Così lo scrittore Yukio Mishima – pochi attimi prima di commettere il suicidio rituale giapponese (seppuku) – si era rivolto ai militari della base Ichigaya, il quartier generale di Tokyo del Comando Orientale delle Forze Giapponesi di Auto-Difesa, mentre i suoi seguaci del Tatenokai o ‘Società dello Scudo’, tenevano in ostaggio il Comandante del campo. Mishima incoraggiò i soldati a lanciare un colpo di stato militare ed a restaurare i poteri tradizionali dell’Imperatore, ma non fu ascoltato.
Oggi il Giappone del 2013, quello a guida Shinzo Abe – il primo ministro nazional-conservatore in carica dal 26 gennaio dello scorso anno – ricomincia a far tremare chi pensava che dopo una guerra persa e due bombe atomiche pensava di aver eviscerato per sempre lo spirito nazionale e tipicamente indomito dal corpo sociale dei giapponesi. Abe è il più giovane primo ministro nipponico della storia e il primo ad essere nato dopo la Seconda guerra mondiale. Un dato che dovrebbe far riflettere su come certi processi di denazionalizzazione ed esautoramento della sovranità da parte degli Stati Uniti e del successivo mondialismo siano miseramente falliti sotto la luce del paese del Sol Levante.
A riprova di ciò l’ennesima sfida e dimostrazione di menefreghismo verso la comunità internazionale mostrata da Shinzo Abe che ha visitato quest’oggi, forse proprio per festeggiare il primo anno dal suo incarico, il Yasukuni Shrine, il santuario della pace nazionale dedicato alle anime di soldati e altre persone che morirono combattendo al servizio dell’Imperatore. Cina, Corea del Sud e Stati Uniti, che già si erano espressi contrariati per questa visita annunciata, hanno espresso la loro ferma opposizione.
Il santuario scintoista situato nel cuore della capitale Tokyo onora le anime di 2,5 milioni di soldati morti per il Giappone. La sua cattiva reputazione deriva dal fatto che furono registrati nel 1978 anche i nomi di 14 “criminali” di guerra condannati nell’elenco dei caduti celebrati. E tra questi figura anche il nome del generale Hideki Tojo, primo ministro giapponese durante l’attacco a Pearl Harbor il 7 dicembre 1941.
La visita di Abe è “assolutamente inaccettabile per il popolo cinese” e il Giappone dovrà “sopportarne le conseguenze”, ha detto il Direttore generale degli Affari asiatici del ministero cinese degli Esteri, Luo Zhaohui. Anche un portavoce del governo sud coreano ha espresso “rammarico e rabbia” per la decisione del premier giapponese che viene definita “anacronistica”. E anche gli Usa si distanziano: “Il Giappone è un alleato e un amico, tuttavia gli Stati Uniti sono delusi dal fatto che il governo giapponese abbia preso questa iniziativa, che esacerba le tensioni con i paesi limitrofi al Giappone”, ha fatto sapere l’ambasciata americana a Tokyo.
“E che ne è della restituzione di Okinawa? E della responsabilità di difendere il suolo della patria? È palese che l’America non desidera che il Giappone sia protetto da un autentico e autonomo esercito giapponese. Se entro due anni l’Esercito di difesa non riconquisterà la sua autonomia, rimarrà per sempre una congrega di mercenari al soldo dell’America”. Così concludeva nel suo proclama Yukio Mishima prima di togliersi la vita. Sono passati 43 anni, ma il suo fantasma aleggia ancora nel paese del Sol Levante.
Giuseppe Maneggio
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