Roma, 8 mar – Laura Boldrini, Concita De Gregorio, Cecile Kyenge; Barbara D’Urso, Michela Vittoria Brambilla, Francesca Pascale. Davvero non c’è alternativa a chi sia in cerca di modelli femminili di riferimento? Ecco quattro proposte per un’altra femminilità, quattro brevi ritratti di donne differenti.
Cominciamo da Ines Donati (1900 – 1924). Nata nella rossa San Severino Marche, dove si distinse per il suo ardore patriottico, a diciotto anni se ne andò di casa e fuggì a Roma per arruolarsi nelle Esploratrici nazionaliste. Soprannominata “La Capitana”, fu attiva anche in vere e proprie azioni squadriste, come lo schiaffeggiamento del deputato socialista Della Seta al caffè Aragno di Roma il 18 febbraio 1921, per il quale fu a sua volta aggredita dagli Arditi del Popolo di Trastevere e venne ricoverata per venti giorni in ospedale. L’obiettivo iniziale di quell’attacco, per cui la donna venne arrestata e posta in carcere per un mese, era Nicola Bombacci, ovvero il futuro esponente della Rsi. Luigi Federzoni la definì «impavida, in piedi, fra il sibilar delle pallottole». Mussolini, invece, le disse: «Io la conosco di fama da parecchio tempo e so che Lei è una fierissima italiana, un’indomita fascista». Affetta da tubercolosi, fece comunque parte della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale e pur malata partecipò agli scontri di Ancona dell’agosto 1922. Fu una delle poche donne che presero parte alla marcia su Roma: dopo aver raggiunto Ancona, in possesso anche di due pistole, prese un treno per la capitale, dove conobbe personalmente Mussolini. Debilitata nel fisico, espresse il suo rammarico per dover «morire in un letto invece che in una trincea fascista avanzata». Fu sepolta a Roma, nel sacrario dei caduti fascisti.
Altra figura splendida, sorprendente e pressoché dimenticata fu quella di Regina Terruzzi (1862 – 1951). Di umili origini, mazziniana, nazionalista, socialista, interventista, la Terruzzi era stata sul finire dell’Ottocento una infaticabile attivista femminista, avendo fondato nel 1893 a Milano la Lega per la tutela degli interessi femminili e nel 1898 la prima società di ginnastica femminile, chiamata Insubria. Conosciuto Mussolini ai tempi delle battaglie socialiste, il 23 marzo 1919 si ritroverà in piazza Sansepolcro, una delle nove donne che parteciparono alla fondazione dei Fasci di Combattimento. In quell’occasione, peraltro, la donna fu protagonista di un significativo evento, trovandosi a “vaticinare” al futuro Duce la sua ascesa a “Console d’Italia”. Semplice boutade figlia della retorica dell’epoca? Non proprio, dato che in quell’occasione Regina Terruzzi fungeva piuttosto da tramite fra l’ex agitatore socialista e determinati ambienti esoterici del tradizionalismo romano che intendevano “investire” il nuovo movimento di un compito metapolitico grandioso di natura spirituale. Non solo: qualche anno dopo, precisamente il 19 maggio 1923, fu ancora la Terruzzi, in occasione del ricevimento al Viminale delle partecipanti al Congresso femminile internazionale, a presentare al nuovo capo del governo una donna vestita di rosso che gli avrebbe donato un fascio littorio rituale in vista dei medesimi scopi di reintegrazione della romanità. Tornando ad aspetti più politici in senso stretto, durante gli anni del regime, questa infaticabile attivista femminista veniva regolarmente ricevuta da Mussolini, collaborava al Popolo d’Italia, era in amicizia con Arnaldo Mussolini, pubblicava libri femministi. Nel ’23 il Duce la nominò delegata ufficiale del governo al Congresso dell’Alleanza internazionale per il suffragio femminile, che raccolse a Roma decine di delegate da tutto il mondo. Per tutti gli anni del regime, Regina Terruzzi girò il mondo in nome dell’Italia fascista, anche se per le sue prese di posizioni talora critiche fu definita “la suocera del regime”. Fu, inoltre, animatrice instancabile, nonostante i potentati conservatori, della battaglia contro la qualifica di “figlio di ignoti” che all’epoca rovinava spietatamente la vita di migliaia di bambini nati fuori dal matrimonio. Sostenne infine la guerra d’Etiopia, quella di Spagna e si schierò per l’intervento nella Seconda guerra mondiale.
Figura interessante è anche Teresa Labriola (1874 – 1941). Figlia ribelle del più noto esponente marxista Antonio, Teresa dimostra molto precocemente la sua voglia di protagonismo sociale laureandosi in giurisprudenza nel 1894 e tentando, con successo, di iscriversi all’albo degli avvocati, per il maggior scandalo dei tradizionalisti dell’epoca. Avvicinatasi al movimento emancipazionista, diviene responsabile della Sezione giuridica del Consiglio nazionale delle donne italiane e partecipa alla campagna per il voto alle donne del 1906-13. Interviene in vari convegni femminili, raccogliendo alcuni dei suoi saggi e interventi nella raccolta La quistione femminile del 1910. Accesa femminista, la Labriola sposa con passione la causa del patriottismo e, in seguito, aderisce con convinzione al fascismo. Dopo il delitto Matteotti espresse fiducia incondizionata in Mussolini. Scrisse: «L’età muta della donna è finita. Facciamo che la donna cominci a essere eloquente parlando della patria», scrive. La nazione diviene quindi non un ostacolo, ma la stessa condizione di possibilità dell’emancipazione femminile. Anche la maternità, lungi dall’essere vilipesa, viene anzi rivendicata come fattore vitalista, in quanto «la svalutazione della maternità è indice sicuro della decadenza di un popolo». La figlia di Antonio Labriola, cresciuta in un ambiente fortemente influenzato in senso marxista, aveva invero sviluppato una sua originale visione del mondo: ammiratrice dell’idealismo di Giovanni Gentile, con cui aveva studiato, apprezzava anche Nietzsche e Sorel e la loro carica ribellistica.
Ada Negri (1870 – 1945) nacque a Lodi da famiglia di umili origini. Insegnante elementare, alla fine degli anni ’80 dell’800 inizia a scrivere poesie che ben presto le portano una discreta fama, al punto che, su decreto del ministro Zanardelli, le viene conferito il titolo di docente per chiara fama presso l’Istituto superiore “Gaetana Agnesi” di Milano. Così si trasferì con la madre nel capoluogo lombardo. Qui si avvicina al Partito socialista, intrattenendo rapporti politici e culturali con Filippo Turatie Anna Kuliscioff d Benito Mussolini. Nel 1894 vince il Premio Giannina Milli per la poesia. Nello stesso anno esce la sua seconda raccolta di poesie, Tempeste, stroncata da Luigi Pirandello. Nel 1918 esce Orazioni, raccolta di odi alla patria: gli anni della guerra avevano trasformato la passione civile in patriottismo, accompagnato all’avvicinamento alle posizioni mussoliniane. Frequenta la redazione del Popolo d’Italia e Margherita Sarfatti. Vicina al Nobel, l’Accademia di Svezia le preferirà alla fine Grazia Deledda, si dice per alcune sue prese di posizione critiche verso la Chiesa (anche se poi si riavvicinerà al cristianesimo). In compenso, nel 1931 viene insignita del Premio Mussolini per la carriera alla presenza dei sovrani Vittorio Emanuele III e della regina Elena del Montenegro e nel 1940 diventa la prima donna membro dell’Accademia d’Italia. Un suo verso famoso recita: «Io non ho nome. – Io son la rozza figlia / dell’umida stamberga; / plebe triste e dannata è la mia famiglia, / ma un’indomita fiamma in me s’alberga».
Adriano Scianca