Gardone Riviera, 4 mar – Il primo marzo del 1938 moriva un grande personaggio della storia del nostro Paese: Gabriele D’Annunzio.
Vogliamo celebrare la grandezza di questo straordinario personaggio raccontandovi della bellezza della sua dimora: in questo primo approfondimento vedremo gli aspetti stilistici e morfologici della ricchissima residenza accompagnandovi in una sorta di tour virtuale dei suoi interni.
Il Vittoriale degli Italiani è un complesso di edifici, vie, piazze, un teatro all’aperto, giardini e corsi d’acqua eretto tra il 1921 e il 1938, costruito a Gardone Riviera sulla sponda bresciana del lago di Garda dal poeta con l’aiuto dell’architetto Giancarlo Maroni, a memoria della “vita inimitabile” del poeta-soldato e delle imprese degli italiani durante la Prima Guerra Mondiale.
Accoglie il visitatore l’ingresso monumentale costituito da una coppia di archi al cui centro è collocata una fontana che reca in lettere bronzee un passo del Libro segreto, ultima opera scritta da Gabriele D’Annunzio; a sormontare la fontana una coppia di cornucopie e un timpano con il famoso motto dannunziano “Io ho quel che ho donato”.
Dalle arcate d’ingresso si snoda un duplice percorso: il primo in leggera salita conduce alla Prioria, la casa-museo di Gabriele D’Annunzio, e salendo ancora alla nave militare Puglia e al Mausoleo degli Eroi con la tomba del poeta; il secondo porta verso i giardini, l’Arengo, e, attraverso una serie di terrazze degradanti verso il lago, si giunge alla limonaia e al frutteto.
La casa, precedentemente di proprietà del critico d’arte tedesco Henry Thode, è denominata dal poeta Prioria ovvero casa del priore, secondo una simbologia conventuale che si ritrova in molte parti del Vittoriale. L’antica facciata settecentesca della casa colonica viene trasformata e arricchita dal Maroni, tra 1923 e il 1927, con l’inserimento di antichi stemmi e lapidi che richiamano alla memoria la facciata del Palazzo Pretorio di Arezzo. Il pronao d’ingresso, in stile Novecento è decorato con due Vittorie attribuite a Jacopo Sansovino, mentre sul battente della porta, sopra una bronzea Vittoria crocifissa di Guido Marussig, si legge il motto Clausura, Fin che s’apra – Silentium, fin che parli.
All’ingresso comincia un percorso iniziatico fra presenze simboliche che rammentano il valore sacrale della casa: il cancello dorato, i sette scalini, gli stalli di un coro seicentesco alle pareti, un pastorale e un’acquasantiera, la colonnina francescana in pietra d’Assisi sormontata da un canestro in cemento con melograni, frutto che d’Annunzio ha eletto a emblema di sé, in quanto simbolo di abbondanza e fertilità.
Entrando troviamo La Stanza degli Specchi così denominata dai versi sopra lo specchio del camino, composti in occasione della visita di Mussolini al Vittoriale nel maggio del 1925: Al visitatore/ Teco porti lo specchio di Narciso? / Questo è piombato vetro, o mascheraio. / Aggiusta le tue maschere al tuo viso / ma pensa che sei vetro contro acciaio.
Segue La Stanza della Musica e La Sala del Mappamondo, biblioteca principale della casa. Qui sono collocati i circa seimila libri d’arte già appartenuti al critico d’arte tedesco Henri Thode sul totale dei 33.000 complessivi raccolti da D’Annunzio nel corso della sua esistenza.
Nella nicchia al centro della sala la xilografica di Adolfo De Carolis raffigurante il Dantes Adriaticus e poco oltre la maschera funeraria di Napoleone Bonaparte e alcuni appartenuti al condottiero francese durante il periodo di esilio.
In seguito abbiamo La Stanza della Zambracca: anticamera alla stanza da letto e guardaroba, negli armadi e nei cassettoni ancora oggi vi è la biancheria del poeta: in questa stanza d’Annunzio sbrigava le ultime faccende della giornata e qui, seduto al tavolo, fu trovato morto la sera del 1º marzo 1938.
Poi, La Stanza della Leda: era la camera da letto del Poeta e prendeva il nome da un grande gesso posto sul caminetto raffigurante Leda amata da Giove trasformatosi in Cigno. Sulla porta si legge il motto Genio et voluptati, al genio e al piacere, e dall’altro lato è appesa una piastrella proveniente dal Palazzo Ducale di Mantova con il motto Per un dixir, per un solo desiderio.
Anche qui l’assortimento di oggetti è straordinario: dagli elefanti in maiolica cinese ai piatti arabo-persiani, dai bronzi cinesi alle maioliche azzurre e ai mobili in stile orientale.
In seguito possiamo ammirare il Bagno Blu, suddiviso alla francese in sala da toilette e ritirata: in esso sono collocati oltre 600 oggetti i cui toni dominanti sono il blu e il verde.
Segue La Stanza del Lebbroso: questa stanza, chiamata anche Zambra del Misello o Cella dei Puri Sogni, fu concepita da D’Annunzio come luogo di meditazione ove ritirarsi negli anniversari fatidici della sua vita.
Da segnalare è il letto chiamato dal poeta Delle due età perché simile ad una bara e al tempo stesso ad una culla.
Attraversiamo ora il Corridoio della Via Crucis che prende questo nome dalle formelle in rame smaltato che rappresentano le quattordici stazioni della Via crucis, opera di Giuseppe Guidi
Dal Corridoio entriamo nella Sala delle Reliquie dove D’Annunzio raccoglieva immagini e simboli delle diverse fedi: ma reliquia, intesa come simbolo sacro, è anche il volante spezzato collocato dinnanzi ad un tabernacolo del motoscafo di sir Henry Segrave morto nel 1930 durante un tentativo di superare un record di velocità nelle acque del lago Windermere in Inghilterra.
Per D’Annunzio quel volante rappresenta quella che lui definisce la “Religione del rischio”, il tentativo cioè dell’uomo di superare i vincoli impostigli dalla natura.
Sul soffitto abbiamo il rosso gonfalone con le sette stelle dell’Orsa Maggiore della “Reggenza del Carnaro”, lo stato rivoluzionario che il poeta aveva fondato a Fiume. Alle pareti troviamo un leone di San Marco dipinto da Marussig originariamente collocato nello studio di D’Annunzio a Fiume e che venne colpito da una granata durante il cosiddetto “Natale di sangue”.
Tocca ora alla Stanza del Giglio, studiolo contenente circa tremila volumi di storia e letteratura italiana, alll’Oratorio Dalmata sala d’aspetto riservata agli amici ammessi all’interno della Prioria ed è caratterizzata da stalli cinquecenteschi sui quali sono indicati i posti del priore, del vice priore, del cancelliere.
Da qui si accede allo Scrittorio del Monco il cui nome deriva dalla scultura di una mano sinistra tagliata e scuoiata collocata sull’architrave della porta con il motto Recisa quiescit, tagliata riposa.
Era la saletta adibita al disbrigo della corrispondenza: D’Annunzio, non potendo o non volendo rispondere a tutti, ironicamente si dichiarava monco e dunque impossibilitato a scrivere.
L’Officina invece è l’unica stanza nella quale entra liberamente la luce naturale del giorno ed è l’unica arredata con mobili di rovere chiaro semplici e funzionali. Era lo studio di D’Annunzio, al quale si accede salendo tre alti scalini e passando sotto un basso architrave che costringe chi entra a chinarsi. L’architrave è sormontato dal verso virgiliano hoc opus hic labor est, qui sta l’impresa e la fatica, con cui nell’Eneide si ammonisce Enea che si accinge a scendere nell’Ade di quanto sia facile l’accesso agli inferi ma riuscire a ritornare nel mondo dei vivi sia appunta la vera difficile impresa.
Ed infine La Sala della Cheli dominata da una grande tartaruga in bronzo opera di Renato Brozzi, ricavata dal carapace di una vera tartaruga donata a d’Annunzio dalla Marchesa Luisa Casati e morta nei giardini del Vittoriale per indigestione di tuberose e la cui presenza vale da monito contro l’ingordigia ed era la sala da pranzo per gli ospiti.
Insomma, un’opera d’arte complessiva che merita di essere celebrata e visitata.
Vanessa Bori