Washington, 29 feb – Se foste i più grandi banchieri del mondo, vi fidereste di un candidato alla presidenza americana che rilancia in un tweet ufficiale il famoso motto di Benito Mussolini “È meglio vivere un giorno da leone che cento anni da pecora” e, confermando di conoscerne l’originale autore, dichiara che “si tratta di una grande citazione, molto interessante… Mussolini o no, che differenza fa? È certamente una citazione molto interessante e io voglio essere associato con citazioni interessanti… e certamente ha catturato un sacco di attenzione”. La risposta è ovviamente negativa, e altrettanto chiaramente non solo per la citazione del Duce: “il Donald” si è dimostrato imprevedibile, interprete più autentico di tutti gli altri candidati alla nomination repubblicana dei sentimenti dell’America profonda, drasticamente avverso all’immigrazione (soprattutto musulmana, ma non solo) con la guida del suo illustre maestro politico Pat Buchanan, propenso al dialogo con Putin piuttosto che allo scontro frontale, nemico della globalizzazione che sta distruggendo la manifattura americana attraverso le delocalizzazioni e il conseguente trasferimento delle tecnologie e delle produzioni, privo di interessi diretti nelle lobby petrolifera e militare, critico della finanziarizzazione dell’economia. Grande miliardario, certamente, ma alla guida di un impero delle costruzioni e non dell’economia di carta.
Ecco allora che, se dalle parti del Cremlino, dove si è rifugiato da tempo dopo le rivelazioni sullo spionaggio illegale delle agenzie di sicurezza statunitensi, Edward Snowden sintetizza efficacemente, a sua volta in un tweet, la posta in gioco: “2016: una scelta tra Donald Trump e Goldman Sachs”, l’establishment finanziario globalista affida i suoi sinistri strali all’Economist, una delle maggiori testate del mondo, controllata dalla dinastia Rothschild e partecipata anche dalla famiglia Elkann.
A pochi giorni dal fatidico “Super Tuesday” – martedì 1 marzo – in cui ben 12 Stati americani si esprimeranno sulle nomination repubblicana e democratica, e in seguito alla vittoria di Trump in tre delle quattro consultazioni primarie già svolte, così riporta l’Economist: “Trump guida i sondaggi in nove dei 12 Stati… se dovessero traslarsi nei risultati, Trump non avrebbe più ostacoli. I sondaggi sulla scelta finale tra Donald Trump e Hillary Clinton danno oggi quest’ultima in vantaggio per soli tre punti percentuali [nonostante la disponibilità della gran parte del voto afro-americano, ndr] e l’intervento di una nuova recessione gli spianerebbe la strada. Questa è una prospettiva spaventosa. Le cose che Trump ha sostenuto in questa campagna lo rendono indegno di guidare uno dei maggiori partiti politici del mondo, figuriamoci l’America. Un modo per giudicare i politici consiste nella loro capacità di appellarsi alla nostra migliore natura: Trump ha prosperato incitando l’odio e la violenza. Egli è talmente imprevedibile che il pensiero che possa conquistare la Casa Bianca è terrificante. Deve essere fermato”. Un fondo insopportabile, specchio del nervosismo esasperato di una élite che ha perso ogni contatto con la realtà del popolo. Non bastasse, l’articolo dell’Economist si spinge a suggerire (ordinare?) a tutti gli altri candidati repubblicani di ritirarsi dalla competizione, per far convergere tutti i voti su Marco Rubio, lo sfidante che il giornale dei banchieri ritiene l’unico in grado di contrastare l’ascesa di Trump.
Un altro carico da mille lo cala il Council of Foreign Relations, tempio della politica estera americana in mano ai neocon (da Robert Rubin a David Rubinstein, da Timothy Geithner a David Rockefeller e tanti altri), non sconosciuto allo stesso Matteo Renzi, che in un articolo di primo piano a firma Benn Steil sostiene, parafrasando al contrario il motto della campagna del temuto Tycoon: “L’America cesserebbe di essere grande sotto la presidenza Trump”, sottolineandone la presunta debolezza delle argomentazioni in politica sanitaria, criticandone l’accanimento anti-immigratorio, tentando di ridicolizzarne i punti deboli nelle politiche estera e di sicurezza (come se Obama, per esempio, avesse ottenuto un solo successo in materia), stigmatizzando l’assenza dei soliti consiglieri cooptati dalle grandi istituzioni finanziarie (come se fosse un punto a sfavore invece che un pregio), infine partendo all’attacco contro i suoi intenti anti-globalisti e parzialmente isolazionisti (almeno rispetto ai più diretti predecessori), con particolare riferimento ai grandi trattati commerciali come Nafta, Tpp e l’ancora controverso Ttip.
Per ultimo, ma non meno pesante, arriva l’affondo della Cia in un’intervista televisiva rilasciata dal suo ex-direttore fino al 2009 Michael Hayden (già generale della Us air force): “Sarei incredibilmente preoccupato se un Presidente Trump governasse in modo consistente con il linguaggio che il candidato Trump ha utilizzato durante la campagna elettorale”, aggiungendo che le forze armate si rifiuterebbero di seguirne gli ordini. Con riferimento per esempio alla promessa di Trump di ammazzare anche i familiari dei membri dell’Isis, Hayden si azzarda a superare il limite del ridicolo: “Se egli dovesse dare quell’ordine dalla Casa Bianca, le forze armate americane si rifiuterebbero di eseguirlo. Non puoi – non sei costretto, anzi ti è richiesto di eseguire un ordine contro la legge. Sarebbe in violazione di tutte le leggi internazionali che regolano i conflitti armati. Ci sarebbe un colpo di stato in questo paese“. Abbiamo appena appreso, quindi, del rispetto degli Stati Uniti per le “leggi internazionali”, un vero scoop perché dubitiamo che qualcuno se ne fosse mai accorto, a partire dai massacri illegali in Serbia, Afghanistan, Somalia, Iraq, Libia, Siria, alle torture di Guantanamo e delle altre prigioni speciali sparse nel mondo dalla Polonia all’Egitto, al colpo di stato in Ucraina, e così via, per rimanere soltanto agli ultimi 20 anni.
Francesco Meneguzzo
3 comments
Non è una citazione mussoliniana: http://www.lacittadella-web.com/forum/viewtopic.php?f=48&t=735
Le tenteranno tutte per fermarlo, perchè credo che questa volta non potranno arrivare all’omicidio…il popolo oggi sa, non è ingenuo e disinformato come prima e penso che ci sarebbe sicuramente una rivolta di enormi proporzioni. Salterebbero tutti, compresi i banchieri, ma loro lo sanno, per cui agiranno prima delle elezioni con tutte le disinformazioni e la propaganda a delegittimarlo. Prendiamo la Clinton…con tutte le corna che le ha messo il marito ha una cattiveria e una acidità che sarebbe tremendamente pericolosa per tutti noi. E’ lei il politico prescelto dai grandi banchieri per tentare in tutti i modi una grande guerra, e la sua vittoria sarebbe nefasta per il mondo intero, tocchiamoci. Dobbiamo sperare che questa volta gli americani non si facciano incantare dalle sirene e scelgano Trump, e se non si può mai sapere se manterrà quello che dice, di sicuro sappiamo che con la Clinton la sicurezza delle guerre è già chiusa in cassaforte.
Ha sfidato l’impopolarità con tutte le sue dichiarazioni fino alla vittoria, se anche facesse saltare il pianeta ne avrebbe la piena autorità e il merito.
Good Way Donald!