Roma, 25 feb – “La Libia è un Paese strategico per noi, il Mediterraneo è un’area strategica”. L’ha detto l’ad di Eni, Claudio Descalzi, il 16 ottobre scorso a margine della conferenza Oil & gas climate initiative tenutasi a Parigi.
I dati generali del consumo di idrocarburi parlano chiaro: l’Europa nel 2013 ha consumato più di 14 milioni di barili di petrolio al giorno, l’Italia in particolare un milione e trecento mila, cifre ancora importanti sebbene, per il nostro Paese, vi sia un decremento del 2,7% rispetto al 2000. Per il gas queste cifre sono molto più significative: l’Europa ne consuma 590 miliardi di metri cubi al giorno e l’Italia poco più di 68 di cui 60 sono importati dall’estero, numeri che ci mettono al terzo posto dopo Germania e Regno Unito.
L’importazione di gas per provenienza è così distribuita: la fetta maggiore spetta, manco a dirlo, al gas russo o comunque proveniente dalle regioni ex sovietiche con circa 30,3 miliardi di metri cubi, 7,5 arrivano dal nord Europa (Norvegia, Olanda e altri), 12,5 dall’Algeria, 5,7 dalla Libia; questi numeri valgono solo per il gas che ci arriva tramite gasdotti che rappresentano la fetta maggiore delle importazioni; una certa frazione, pari a 5,7 miliardi di metri cubi, viene importata via nave tramite gas liquefatto (LNG) proveniente principalmente da Qatar ed Egitto.
Se analizziamo più attentamente il caso libico non può sfuggire che l’Eni ha grossi interessi nella regione con una produzione che nel 2009 ammontava a 550 mila barili equivalenti di petrolio (boe) al giorno di cui circa la metà costituiti da petrolio estratto sia in prima persona dalla società del cane a sei zampe che dalla sua consociata libica, la Noc. Quello che inoltre è interessante notare è come la produzione sia costantemente aumentata nel corso degli anni (se escludiamo la flessione dovuta alla recente guerra civile), facendo della Libia un partner privilegiato per l’Eni: si è passati infatti dai circa 30 mila boe/die del 1972 sino alle cifre attuali dove la produzione si attesta sui 300‐350 mila boe/die (75% gas/25% condensati; 55% onshore/45% offshore), pari a circa il 20% delle produzioni Eni. Nel 2014 la produzione è stata di 239 mila boe/die, di cui 73 mila di liquidi, pari al 15% del totale della produzione Eni; un andamento quindi in rapida crescita verso i valori pre-guerra.
Come riporta un comunicato ufficiale “Attualmente l’attività produttiva ed esplorativa è condotta nell’offshore del mar Mediterraneo, di fronte a Tripoli, e nel deserto. Eni è presente in 10 titoli minerari, per una superficie complessiva di circa 26.634
chilometri quadrati (13.295 chilometri in quota Eni). Le attività produttive di Eni in Libia sono regolate da contratti di Exploration and Production Sharing Agreement (EPSA) che hanno durata fino al 2042 per le produzioni ad olio e al 2047 per quelle a gas, comprese le estensioni”. Inoltre sempre la società di San Donato Milanese ha reso noto che nel marzo del 2015 è stata fatta una significativa scoperta di un giacimento a gas e condensati nell’offshore libico, nel prospetto esplorativo Bahr Essalam Sud. A maggio, è seguita un’ulteriore scoperta nel prospetto esplorativo di Bouri Nord. In entrambi, Eni è operatore con una quota del 100% nella fase esplorativa.
Una situazione che rende quel Paese molto importante per la nostra economia e per gli interessi strategici italiani dato che implementare la produzione in Libia significa aumentare il peso della diversificazione e poter diminuire la dipendenza dal gas russo che, oltre a pesare di più sulla bilancia economica (l’Eni non ha lo stesso peso nell’attività produttiva russa come lo ha in Libia), stabilizza l’approvvigionamento di questa risorsa a fronte delle recenti crisi geopolitiche che vedono coinvolte la Russia e l’Unione Europea. Stabilità che comunque è stata messa a dura prova anche in Libia dopo la recente rivolta che ha deposto Gheddafi, tanto che, mentre la produzione offshore procede regolarmente, l’Eni ha dovuto chiudere le operazioni presso il campo Elephant, in Libia occidentale, lo scorso maggio, mentre i campi della zona orientale sono chiusi da luglio del 2013 per blocco dei terminali. La situazione però, nonostante queste chiusure, risulta sotto controllo come si legge in un recente comunicato, dato che sono state rafforzate le misure di sicurezza sia attive (numero di addetti alla sicurezza) sia passive (protezioni fisiche e delle misure di prevenzione) che riguardano i campi a terra, Wafa e Mellitah. Da sottolineare il fatto che, come apprendiamo da fonti Eni, la gestione e la sicurezza degli impianti sia affidata a personale locale dato che nessun italiano è presente in situ. Questione che ci lascia perplessi in quanto riteniamo che uno Stato dovrebbe tutelare in prima persona i propri interessi strategici.
Lo sfruttamento dei campi di Wafa e Bahr Essalam rientra in un ambizioso progetto chiamato Western Lybian gas project atto a valorizzare il gas naturale prodotto il Libia e diretto verso l’Italia e l’Europa. Per lo sviluppo del giacimento di Bahr Essalam sarà messa in opera la prima piattaforma offshore per il gas in Libia, chiamata Sabratha, e saranno perforati 38 pozzi, di cui 15 dalla piattaforma e 23 sottomarini e si prevede una produzione annua di 6 miliardi di metri cubi di gas. Con due condotte sottomarine il gas e i condensati saranno trasportati sino all’impianto di trattamento di Mellitah, recentemente oggetto di attacchi da parte dei fondamentalisti islamici.
Lo sviluppo del campo onshore di Wafa comprende la perforazione di 29 nuovi pozzi (12 ad olio e 17 a gas) e la riattivazione di 8 pozzi già perforati. Il gas e i condensati prodotti e trattati a Wafa saranno inviati all’impianto di Mellitah attraverso condotte lunghe circa 530 chilometri e si prevede una produzione di 4 miliardi di metri cubi di gas naturale l’anno.
A Mellitah, sulla costa libica, Snamprogetti, società Eni, è impegnata nella costruzione dell’impianto di trattamento con cui sarà lavorato il gas proveniente da Bahr Essalam. Dall’impianto di trattamento il gas, insieme a quello proveniente da Wafa, sarà immesso nella stazione di compressione per essere inviato in Italia attraverso il Gasdotto Greenstream.
A Gela, in Sicilia, è stato costruito il terminale di ricevimento collegato alla rete nazionale di Snam Rete Gas.
Questa panoramica sulle attività e sugli interessi futuri dell’Eni in Libia fa comprendere come quel Paese faccia gola alla Francia, che, attraverso la Total, vorrebbe vedere aumentata la propria fetta di produzione di idrocarburi e quindi spiega l’atteggiamento politicamente aggressivo tenuto sia recentemente che negli scorsi anni dal governo di Parigi. Del resto Gheddafi, essendo stato fautore degli accordi privilegiati tra la Libia e l’Italia in merito allo sfruttamento degli idrocarburi, era diventato automaticamente il nemico da eliminare per poter avere mano libera in questo senso, e così è stato.
Paolo Mauri