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Brigatisti alla scuola dei magistrati? Ecco i veri motivi per cui è sbagliato

by Adriano Scianca
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farandaRoma, 3 feb – Alla fine, la Scuola della magistratura ha deciso di annullare l’incontro, nell’ambito di un corso di formazione per i giudici, al quale avrebbero dovuto partecipare gli ex brigatisti rossi Adriana Faranda e Franco Bonisoli. Salta così l’appuntamento che aveva generato tante polemiche nei giorni scorsi, e questo nonostante il fatto che al corso fossero stati invitati, per altri interventi, anche Agnese Moro, la figlia dello statista democristiano ucciso proprio dalle Br, e Sabina Rossa, figlia di Guido, il sindacalista genovese anche lui vittima della furia brigatista. Analoghe polemiche, diversi mesi fa, le aveva suscitate la decisione del ministro della Giustizia Orlando di nominare Adriano Sofri responsabile del tavolo istruzione e cultura nell’ambito degli Stati generali dell’esecuzione penale. Anche in quel caso, in seguito alle proteste, non se ne fece più nulla.

Si tratta di polemiche che hanno un senso? Sì, ma non il senso che gli viene dato dal chiacchiericcio qualunquista da talk show. Che un protagonista degli anni di piombo possa avere qualcosa di un qualche interesse da dire sulla giustizia o sulle carceri è fuor di dubbio. La cosa potrebbe essere inopportuna se fatta nelle scuole (forse), non certo di fronte a un pubblico adulto e selezionato, che non ha bisogno solo di discorsi edificanti: chi deve diventare magistrato non può che trarre giovamento dal confronto con un ex della lotta armata. Non per farsi tenere una lezione ideologica, ma per comprendere una fetta della realtà importante. Lo stesso varrebbe se si trattasse di uno spacciatore, un ladro, un rapinatore, ma vale ancor di più per chi ha commesso atti delittuosi di matrice ideologica. L’argomento puramente morale sul fatto che chi deve servire la Repubblica non può ascoltare chi ha lottato per sovvertirla è una banalità paternalistica. E allora, si dirà, qual è il problema?

Il problema è lo strabismo di fondo che regna in questi fatti. Se invitare Sofri o la Faranda in contesti istituzionali è comunque possibile, malgrado le polemiche, la stessa identica cosa fatta con un ex “terrorista nero” farebbe scoppiare un putiferio ben più ampio. Sarebbe, anzi, semplicemente impensabile. Eppure tutte le considerazioni fatte finora sarebbero ugualmente valide. Ma allora perché gli uni sì e gli altri no? Semplice, perché il retropensiero di quando si invita un brigatista è pur sempre che si tratti di un “compagno che ha sbagliato”, uno che ha usato mezzi discutibili per un fine giusto. C’è un’accondiscendenza di casta, il pres-sentimento che si ha a che fare con uno della stessa razza. E c’è il cedimento alla logorrea narcisistica degli ex terroristi rossi, che con la stessa cerebralità con cui scrivevano i comunicati dopo gli attentati oggi “elaborano” le loro scelte passate. Ecco cosa è indegno. Se l’invito alla Faranda segnasse un superamento degli anni ’70 sarebbe un gesto più che lodevole. Invece si tratta della solita manfrina tutta interna a uno stesso mondo, a una stessa storia, alla stessa gente. Che noia.

Adriano Scianca

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1 commento

Paolo 5 Febbraio 2016 - 3:24

Articolo più che lodevole, ottima analisi, come sempre. Condivido al 100%

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