Roma, 14 gen – Matteo Renzi è un grande illusionista. Questo è risaputo. Il segreto di un buon prestigiatore, infatti, è non svelare mai suoi trucchi. Purtroppo per lui, però, a volte avviene il contrario. Facciamo un esempio. Il dodici gennaio Stefano De Agostini su Il Fatto Quotidiano ha scoperto l’ultima gaffe del governo sui dati riguardanti l’occupazione. Vediamo di che si tratta.
A metà dicembre una circolare del ministero del Lavoro ha eliminato l’obbligo di inscriversi alle liste di disoccupazione presso i centri per l’impiego. Bene, dunque. Un’incombenza burocratica in meno per chi è in cerca di lavoro. La realtà è però più complessa. Ora, con la circolare del ministero, per ottenere i sussidi, basterà produrre un’autocertificazione per dichiarare il proprio stato di inoccupato, cioè di persona priva di impiego, ma non necessariamente in cerca di occupazione. Nel suo articolo De Agostini riporta l’opinione di Marta Fana, dottoranda in Economia a SciencesPo a Parigi e collaboratrice de Il Manifesto. Fana è recidiva. Fu lei, infatti, per prima segnalare l’errore del ministero del Lavoro sui numeri relativi ai contratti stabili ad agosto. Secondo la ricercatrice italiana: “Si può ipotizzare che diminuirà la quota di soggetti che cercano lavoro, non avendo più l’obbligo di dichiarare la propria disponibilità a lavorare per ottenere le prestazioni sociali”. Inoltre aggiunge Fara: “I dati dei centri per l’impiego sono usati sia dai sindacati sia dalle Regioni per la definizione e lo sviluppo di politiche attive a livello locale. Quindi, al di là della rilevazione Istat, una distorsione nel numero di disoccupati rende questa attività molto meno efficace”. Et voilà. Come per magia il disoccupato non c’è più. A meno che, l’Istat per fare le sue rilevazioni sull’occupazione, non inizi a fare dei sondaggi telefonici.
Già questo sito aveva affrontato questo argomento. Si precisava che essendo il tasso di disoccupazione un rapporto fra disoccupati e totale disoccupati più occupati, esso non considera l’impatto degli inattivi. Ora le cose andranno peggio. Con la nuova circolare, calerà ancora il numero dei “disoccupati certificati”.
Tornando, ora a parlare di numeri e non di percentuali, rimane una domanda: quanti sono i beneficiari del Jobs Act? A darci la risposta è un recente studio della Uil. Secondo questa ricerca: “Elaborando i dati su base annua, media degli undici mesi del 2015, e il risultato – rispetto allo stesso periodo del 2014 – c’è un aumento di circa 185.000 occupati dipendenti, in gran parte lavoratori a termine (115.000) e solo 70.000 posti fissi. Se si tiene conto che il governo Renzi ha destinato circa due miliardi nel 2015 e oltre tre nei prossimi anni per incentivare il lavoro stabile, se ne deduce che ogni posto fisso in più è costato ai cittadini oltre 25.000 euro”. In pratica la lotta alla precarietà del governo la possiamo sintetizzare così: 25000 euro per ogni contratto a tempo indeterminato. Ecco un esempio di politiche di investimento di lungo periodo!
Rimane da approfondire un altro aspetto che riguarda le retribuzioni medie che otterranno i dipendenti tutelati in maniera crescente. Ovviamente, è un dato che va osservato nel lungo periodo. I dati, oggi, sarebbero insufficienti visto che i primi decreti attuativi del Jobs Act sono arrivati nella scorsa primavera. Ma c’è il rischio che il miscuglio tra agevolazioni (temporanee) ed eliminazioni di diritti (definitiva) si riveli una miscela esplosiva e controproducente. Se a questo, poi aggiungiamo il progressivo calo del costo del lavoro per la parte riguardante i salari. La situazione rischia di precipitare. Infatti, davanti ad una crescita economica fragile, la diminuzione del costo del lavoro per le imprese altro non è, che il taglio degli stipendi. Insomma, se la torta è sempre quella, ma aumenta il numero dei convitati bisognerà fare porzioni più piccole.
In conclusione, il Jobs Act più che la disoccupazione, farà diminuire i salari.
Salvatore Recupero