Roma, 4 dic – L’ultimo rapporto dell’Istat “Trattamenti pensionistici e i beneficiari” ha mostrato tutte le criticità del nostro sistema pensionistico. Le cifre sono allarmanti: “Il 40,3% percepisce un reddito da pensione inferiore a 1.000 euro al mese, un ulteriore 39,1% tra 1.000 e 2.000 euro; il 14,4% riceve tra 2.000 e 3.000 euro mentre la quota di chi supera i 3.000 euro mensili è pari al 6,1%”.
Per essere più chiari: otto su dieci ricevono dall’Inps un assegno inferiore a duemila euro. La metà di questi addirittura non raggiunge i mille euro. La questione è grave come si può vedere. Questi numeri, inoltre, smentiscono coloro che pensano di risolvere tutto con una grande redistribuzione. Infatti, solo il 6% supera i tremila euro e anche se mettesse mano al portafoglio, le sue risorse non basterebbero a colmare queste diseguaglianze. Vediamo perché. Sono oltre tredici mila i pensionati che nel 2014 hanno percepito un reddito da pensione oltre i dieci mila euro mensili. Si tratta dello 0,1% del totale. Un gruppo di “super-pensionati” a cui si affiancano circa altri 217 mila con redditi da pensione tra i 5.000 e i 10.000 euro mensili. In totale quindi i pensionati con più di 5.000 euro al mese sono 230.000. Altri 767mila pensionati (il 4,7% dei 16,25 milioni di pensionati) possono contare su redditi da pensione tra 3mila e 5mila euro al mese. Con i contributi di solidarietà renderemmo i ricchi un po’ meno facoltosi e per i poveri cambierebbe poco o nulla.
Se pensiamo al futuro le cose non vanno certo meglio. Il presidente dell’Inps Tito Boeri prevede che i trentenni di oggi andranno in pensione a settantacinque anni e con assegni poveri. Il messaggio è arrivato a margine del convegno “Pensioni e povertà oggi e domani”. Il titolo del convegno è drammaticamente profetico. Secondo Boeri: “ I trentenni di oggi nel 2050, nell’ipotesi di un tasso di crescita del Pil dell’1%, dovranno lavorare anche fino a settantacinque anni, per andare in pensione”. Ma almeno si consoleranno con l’assegno mensile. Niente affatto. Si passerà dal valore medio dagli attuali 1.703 euro ai 1.593 euro. Di fronte a questa ipotesi i dati dell’Istat sono la lieta novella.
Rimane un dubbio: perché ci troviamo in questa situazione? Proviamo a dare una spiegazione. L’Italia ha scelto negli ultimi venti anni di puntare tutto sul settore dei servizi e nel terziario. Le fabbriche sono viste come una zavorra. L’agricoltura spesso sopravvive grazie agli agriturismi. Il risultato è stato devastante da un punto di vista occupazionale. Manodopera a basso costo, scarsamente specializzata, che può essere sostituita con grande facilità. Da qui nasce il precariato. Ovviamente, in questo quadro economico, i contratti devono essere flessibili. Ma così facendo viene a mancare quella regolarità contributiva su cu si fondava la previdenza pubblica. Insomma l’Inps rischia di scoppiare. La colpa, però, non può essere attribuita ai pensionati di oggi che vengono spacciati come nemici delle giovani generazioni, anche se spesso vivono nell’indigenza.
Per fortuna c’è la finanza rossa. Il problema delle pensioni soprattutto per i giovani potrebbe essere risolto da Unipol. Vediamo come. Il nome del prodotto assicurativo è un po’ strano: “long term care”, o Ltc. Si tratta, infatti, di polizze che garantiscono agli assicurati, in caso di perdita dell’autosufficienza, una rendita con la quale provvedere finanziariamente alle necessità legate alla perdita della capacità di svolgere autonomamente le attività elementari della vita quotidiana. Secondo il sito di Unipol, se sei un buon pagatore potrai ricevere un assegno mensile compreso tra i 500 e i 2.500 euro al mese.
Grazie ai compagni i lavoratori sono sempre protetti. Al posto della vecchia e fascista Inps avremo la democratica e progressista Unipol.
Salvatore Recupero
1 commento
Da statisti a venditori di polizze ….la nuova e Italia colonia democratica