Si è votato ieri in Irlanda il referendum per l’abolizione del Senato e i sondaggi sembravano non lasciare spazio ai dubbi: il 60% degli irlandesi favorevole alla cancellazione della Camera Alta, che costa alle casse statali circa 20 milioni di euro all’anno. Un’assemblea parlamentare che in Irlanda non viene eletta dai cittadini, i suoi membri vengono difatti nominati di volta in volta dai senatori uscenti, e con l’unico potere di rinviare una legge alla Camera Bassa senza poterla poi bocciare. I sondaggi sono stati ribaltati dal voto di oggi che ha salvato per un soffio lo storico Seanad, evitandone la cancellazione con la vittoria del no che ha centrato il 51% dei voti.
L’abolizione del senato era fortemente voluta anche da Enda Kenny, leader del partito Fine Gael che guida la coalizione governativa: “Il Seanad non ha poteri – aveva affermato il leader centrista – costa 20 milioni di euro all’anno e non ha mai avuto un peso nella vita pubblica del paese come avrebbe dovuto” Ancora più drastico il giudizio del ministro del Lavoro Richard Bruton “Siamo di fronte a un’istituzione obsoleta che ha servito molto più gli interessi dei politici che dei cittadini”, ha dichiarato alla vigilia del voto.
L’abolizione del Senato avrebbe assicurato un ulteriore taglio ai costi della politica in Irlanda dove grazie a interventi, finalizzati ad eliminare gli sprechi statali, nel secondo trimestre del 2013 l’Isola Smeralda è risultato l’unico Paese dei cosiddetti «Pigs» (Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna) ad aver fatto registrare una crescita del Pil (+ 0,4%).
Sta di fatto che per la prima volta un Paese europeo mette in discussione il sistema bicamerale perfetto e apre una riflessione sulla possibilità di cambiamento anche per il nostro Paese. In Italia soltanto nel 2012 il Senato è costato allo Stato 505 milioni di euro, con un aumento dei costi del 50% in dieci anni per un’assemblea parlamentare che appare anacronistica e con gli stessi poteri della Camera, causando inevitabili rallentamenti dell’attività legislativa. E in effetti c’è chi ipotizza una sostituzione del Senato con una Camera del Lavoro che garantisca la rappresentatività armonica di tutte le categorie produttive e lavorative. Trasformando la nostra Camera Alta in organo legislativo e consultivo in merito alle tematiche del lavoro, della rappresentanza sindacale e a sostegno della programmazione economica e della produzione industriale nazionale.
Eugenio Palazzini