Roma, 21 nov – Il terrorismo globale è un fatto del “politico” che resta spesso impensato e incompreso. Complice l’emotività che inevitabilmente accompagna atti eclatanti e cruenti, fatica a trovare spazio un’osservazione lucida del fenomeno.
Può risultare utile allora tentare di contribuire a un chiarimento della questione con delle brevi osservazioni, suscettibili senz’altro di rettifica e ampliamento.
Come si configura il terrorismo? Cos’è ciò che chiamiamo, oggi, terrorismo?
Terrorismo è una forma di guerra asimmetrica, senza confini, che ha come scopo primario quello di provocare morte e distruzione indiscriminate e come obbiettivo secondario quello di indurre un perenne stato di insicurezza e paura nei suoi nemici. Solo a un livello superficiale è mosso da motivazioni religiose.
Il fatto che il terrorismo non presenti obbiettivi chiari e realizzabili non diminuisce la sua portata politica. Il terrorismo infatti interessa in massimo grado la sfera della cosa pubblica in quanto considera suoi nemici non solo i governi ma anche i civili dei paesi che colpisce. Il terrorismo dispiega dunque una guerra totale in senso pieno, avendo dalla sua però il mimetismo e l’ubiquità. Come un cavallo di Troia, questa forma di guerra cresce grazie alla parabola dell’accoglienza e si cela in seno allo stesso nemico, mostrandosi nella sua aperta ostilità solo nel momento dell’attacco. Non è una lotta tra eserciti tradizionali, è appunto una forma di guerra asimmetrica tra autorità legali e combattenti irregolari e invisibili.
Fintanto che si continuerà a parlare di terrorismo come follia o male da annientare, si faticherà a comprendere appieno un fenomeno che è politico e si configura come uno strumento, il più estremo, di interessi di potere.
L’origine della guerra senza confini e senza fine è da individuare nell’abolizione del concetto di nemico. Almeno dall’inizio della Seconda Guerra Mondiale (ma forse già dalla Rivoluzione Francese e dalla guerra civile americana) l’occidente non è capace di individuare il nemico perché non sa più fare la guerra. La guerra come opposizione di due nemici animati da ragioni di pari dignità cessa di esistere quando lo scontro armato si trasforma nella lotta di annientamento del bene contro il male. Gli interventi militari sono oggi azioni con cui si impone la verità sulle tenebre, il migliore dei mondi possibili su oscurantismo e arretratezza. Perciò non si fronteggiano due ragioni ma una ragione e un torto: non c’è conciliazione possibile. Partendo da questi presupposti, è facile capire come il terrorismo globale sia un prodotto delle stesse distorsioni occidentali, la nemesi che si nutre della sua stessa tracotanza.
I terroristi vengono addestrati, finanziati, armati e tutelati da una rete globale che evidentemente gode di vaste coperture. Partendo da questo presupposto, non è difficile cogliere come il terrorismo venga spesso utilizzato dai paesi occidentali come un mezzo per conseguire i propri scopi in regioni d’interesse strategico senza intervenire in modo aperto o unilaterale. La destabilizzazione provocata dal terrorismo spesso è lo sprone alla mobilitazione dei partner militari e al loro coinvolgimento sotto la supervisione della potenza egemone di turno.
Quella che è senza ombra di dubbio un’arma a doppio o triplo taglio, viene ampiamente utilizzata per obbiettivi a breve o medio termine, che possono essere conseguiti con maggior rapidità giocando anche sull’emotività dell’opinione pubblica.
Nella situazione attuale di guerra intestina e invisibile, l’Europa dovrebbe sforzarsi di trovare una forza tranquilla, un centro indistruttibile che affondi nella sua cultura millenaria, e che le permetta di affrontare con lucida consapevolezza i tempi che si prefigurano. Benché questa sia una pia illusione, vale la pena di tratteggiare rapidamente i termini della questione.
Se il terrorismo è “cosa” politica, la risposta deve essere politica. Ciò significa che bisognerebbe operare a tutto campo: diplomatico, economico, mediatico e militare. A livello diplomatico ed economico significa isolare le fazioni terroriste e i loro protettori, non cooperare in alcun modo con esse e anzi operare al fine di limitarne il campo d’azione localizzandolo, restringendolo e mettendolo in piena luce. Sul piano mediatico, il campo di battaglia a cui il terrorismo ambisce più d’ogni altro e su cui può dispiegare in profondità la sua azione destabilizzante, bisognerebbe studiare una controffensiva della pacatezza e del contegno contro l’attuale eccitazione comunicativa. Il terrore perderebbe così la cassa di risonanza ai suoi attacchi.
In campo militare si potrà agire efficacemente soltanto quando all’ammorbante senso di colpa attuale e al pacifismo imperante si sostituiranno una visione strategica e una piena comprensione della categoria amico-nemico. Quando cioè si saprà identificare il nemico, accettandolo nella sua alterità. Se si vuole davvero fare la guerra bisogna prima di tutto tracciare il confine tra noi e loro, mettendo in campo una distinzione che sia qualificante, forte e radicata, capace cioè di contrastare in primo luogo internamente lo smarrimento causato dallo sradicamento occidentale.
Allora il nichilismo terrorista si troverebbe davanti un blocco di volontà e forza che non cede alla paura e all’emotività ma che raccoglie la sfida e rilancia a tutto campo con visione strategica e prospettiva a lungo termine e ad ampio raggio.
Il terrorismo dispiega l’ostilità totale spezzando in modo doloroso lo schema di un mondo di pace e felicità per tutti. L’integralismo rimpiazza il fallimento dell’integrazione. L’internazionalismo apolide di cui si nutre non può però essere sconfitto con medicine originante dalla stessa radice avvelenata, ma può trovare risposta in quella tradizione europea che, con Omero, ha sempre concepito la guerra come un equilibrio di forze e non come regno della dismisura perpetua. Per poter fare la pace bisogna dunque prima accettare il peso della guerra, che non sempre è necessaria ma dev’essere sempre considerata possibile.
Francesco Boco
2 comments
In realtà è una guerra razziale mascherata da guerra politico-religiosa, ma questo non deve essere detto agli Europei, in modo che possano perdere questa guerra (che sarà l’ultima per loro, dato che spariranno come entità biologica).
Il terrorismo è un fatto reale con cui bisogna fare i conti e detto per inciso, le misure che realmente sconfiggono il terrorismo sono le stesse che mettono fine alla guerra contro l’Europa perché richiedono una presa di coscienza, una rigenerazione dell’asse culturale autenticamente europeo.