Roma, 03 nov – La città di Lijian (o Liqian) nell’odierna Cina centrale è assurta all’onore delle cronache di recente per una querelle protrattasi nel tempo, che sfida ogni supposizione storica precedente oltre che le forti connotazioni ideologiche ed etniche del sistema comunista, fortemente identitario, che vige nel grande paese orientale.
La città di Lijian non è che un antico centro in rovina sito sulla Via della seta, che del suo presunto antico splendore mantiene veramente poco. Le strade che la percorrevano sono tutt’oggi visibili nello scavo archeologico e si può chiaramente constatare come la loro disposizione somigli a quelle romane, tagliando in sezioni geometriche il centro abitato, quindi sviluppandosi in un reticolato che dal Cardo e dal Decumano giunge a collegare tutte le periferie del borgo.
Lijian è un nome supposto dal sinologo americano Homer H. Dubs che nel 1953 sostenne la derivazione del termine da quello latino di legio (legione), poi storpiato appunto in Lijian. La toponomastica corretta tuttavia sembra quella di Liqian e ai giorni nostri su quelle rovine sorge il villaggio di Zhelaizhai. La parte antica visibile appare come una riproduzione in scala ridotta di una città dell’Impero romano.
Dubs, seguendo le indicazioni lacunose di Plutarco e di Plinio, sostenne che la Legio X, durante la guerra con i Parti, condotta dal triunviro Crasso, fosse stata mandata a combattere contro una popolazione barbara orientale nomade provvisoriamente stanziata nella regione del Turkestan e precisamente al confine nord occidentale del deserto del Gobi. Questi, detti anche Hsiung Nu o Xong Nu, erano i progenitori degli Unni di Attila che a quel tempo più che minacciare l’Impero di Roma, erano pericolosi vicini per quello di Han – l’impero cinese. Secondo fonti storiche di questo ultimo impero, un principe affrontò la capitale degli Unni combattendo contro soldati mai visti prima. Indossavano armature brillanti e a piastre e si disponevano a “lisca di pesce”. La tattica di ingaggio ricorda la testuggine romana e il valore di questi uomini indusse il principe cinese ad arruolare nel suo esercito i prigionieri che aveva conquistato, per dislocarli a protezione dei confini della provincia di Gansu.
Singolarmente, è stato Yuan Honggeng, il capo del centro di studi italiani all’università di Lanzhou, appunto nella provincia di Gansu, in Cina, ad aver dichiarato recentemente al giornale China Daily di sperare “di dimostrare la ‘leggenda’ [della legione romana, ndr] con ulteriori scavi archeologici, al fine di scoprire nuove evidenze degli antichi contatti della Cina con l’impero romano”.
I legionari – soldati di quella che alcuni chiamano Legione cinese – si sarebbero quindi trovati ad oltre 7000 km da Roma, circondati da un deserto freddo e da popolazioni molto diverse dalla propria. Le tracce archeologiche però restano dubbie, a differenza dei tratti somatici di una parte della popolazione cinese della zona e per alcuni costumi che ancora sopravvivono. Secondi indagini condotte sui marcatori genetici dal 2010 al 2013, alcuni individui della popolazione presentano fino al 58% del patrimonio genetico in comune con le genti dell’Europa mediterranea e la forma del naso, i colori e i lineamenti degli occhi e il colore dei capelli (biondi nel caso di una bambina) sono indiscutibilmente caucasici. Questo non dimostra necessariamente una discendenza latina ma al massimo indoeuropea e il governo della Repubblica Popolare non si è mostrato molto disponibile ad ammettere origini europee per una parte della propria popolazione, tanto che le ricerche genetiche sono state interrotte mentre continuano quelle archeologiche sul sito dell’antica città.
Del resto, proprio su queste colonne avevamo parlato di una popolazione indoeuropea stanziatasi in Cina e completamente assorbita da quelle locali, nonché in parte trasferitasi poi sul continente americano. Questo avveniva molto prima e dimostra l’estrema mobilità dell’uomo anche in epoche ben più antiche rispetto a quella di cui trattasi.
Un nodo altresì difficile da sciogliere è quello della pratica della tauromachia e del culto dei tori: elementi estranei alla civiltà Han che sono invece strettamente legati al mondo mediterraneo e a quello indoeuropeo, e in particolare a quello romano.
A sfavore della suggestiva tesi di una primissima colonizzazione romana in Cina si deve ammettere che capitasse che alcune legioni imperiali fossero composte in prevalenza da individui di origine greca piuttosto che romana. Tutto ciò comunque non toglie niente all’impressionante collegamento che sembra unire Lijian a Roma e in generale che ha permesso ai due grandi imperi di incontrarsi più di una volta.
A questo riguardo sappiamo per certo di una delegazione romana a Pechino agli inizi del III secolo e con minore certezza – ma grande fascino – sovviene l’esempio della spada Yue Guo Jan risalente al periodo “dei regni combattenti” (dal 453 a.C al 221 a.C), che risulta indiscutibilmente simile al gladio romano.
In ogni caso, una testimonianza ulteriore dell’antica propensione europea – al tempo coincidente con la romanità almeno per la sua parte civilizzata – nei confronti degli imperi orientali, che nel tempo è andata perduta. Mutatis mutandis, potrebbe essere arrivato il tempo che il sole sorga nuovamente da est.
Cosimo Meneguzzo