Lazio condannata a giocare a porte chiuse la sfida del 7 novembre contro l’Apollon. La decisione è stata presa dall’Uefa a seguito del comportamento tenuto dai supporter biancocelesti nella gara del 19 settembre contro il Legia Varsavia. “Cori razzisti, striscioni inappropriati, lancio di petardi e calcio d’inizio ritardato”, sono queste le imputazioni che vengono mosse ai tifosi dall’organo direttivo del calcio europeo, che in aggiunta alla squalifica del campo ha comminato una sanzione di 40mila euro alla S.S Lazio.
“Purtroppo – dichiara l’avvocato del club Michele Gentile – la Lazio è finita nell’occhio del ciclone. Ci sembra una sanzione immotivata, abbiamo chiesto gli atti, che pensiamo arrivino all’inizio della prossima settimana e faremo subito ricorso. Avevamo avuto un rapporto con la segnalazione del Fare (Football Against Racism in Europe) su pochi cori razzisti provenienti dalla curva Nord. Noi abbiamo replicato che non c’è traccia nei rapporto dell’arbitro e dei delegati Uefa”.
Ancora una volta la Lazio sarà costretta a giocare senza l’apporto dei propri tifosi, ancora una volta si assisterà alla scena desolante di una partita giocata in uno stadio vuoto. Abitudine abbastanza assurda questa di chiudere gli stadi, che ha l’effetto di allontanare sempre di più le persone da questo luogo e non è supportata da regole chiare e oggettive (quando si fischia l’avversario in quanto avversario e quando per il colore della sua pelle?). Per non parlare del danno economico subito da chi ha sottoscritto (e pagato profumatamente) un abbonamento e si ritrova impossibilitato a usufruirne per comportamenti che non sono neanche imputati a lui, dato che la sanzione non è individuale ma spara nel mucchio a casaccio. E, come sempre in questi casi, fa più danni di quanti non ne voglia invece sanare.
Rolando Mancini