Roma, 19 ago – Ma lasciamo adesso Mack Smith e torniamo al Dalai lama dell’anti-imperialismo italiano, al fustigatore del colonialismo tricolore.
Del Boca fa naturalmente da grancassa alle chiacchiere della propaganda etiopica sugli apocalittici effetti dei gas asfissianti. Il buon Del Boca riporta diligentemente le dichiarazioni di ras Cassa di grande drammaticità che non si possono negare al lettore:
Il bombardamento era al colmo quando, all’improvviso, si videro alcuni uomini lasciar cadere le loro armi, portare urlando le loro mani agli occhi, cadere in ginocchio e poi crollare a terra. Era la brina impalpabile del liquido corrosivo che cadeva sulla mia armata. Tutto ciò che le bombe avevano lasciato in piedi, i gas l’abbatterono. In questa sola giornata un numero che non oso dire dei miei uomini perirono. Duemila bestie si abbatterono nelle praterie contaminate. I muli, le vacche, i montoni, le bestie selvatiche fuggirono nelle forre e si gettarono nei precipizi. Gli aerei tornarono anche nei giorni successivi. E cosparsero di iprite ogni regione dove scoprirono qualche movimento.
Una piaga biblica… Evidentemente gli uomini di ras Cassa non avevano acqua per lavarsi… né risulta che a causa dei gas sia deceduto un solo ascaro, un solo nazionale, un solo mulo italiano.
Ora, se è vero che i gas tossici furono certamente impiegati in misura assai maggiore di quanto ammise l’ex ministro delle colonie Michele Lessona, in realtà le armi chimiche non influirono in maniera rilevante sulle operazioni militari, così come non furono decisivi nella Grande Guerra.
Questa è anche l’opinione di Luigi Goglia che pur ricordando come l’uso dei gas non solo a scopo di rappresaglia sia ricordato nel Diario storico del Comando Supremo AOI , ma scrive che
da parte etiopica si è forse voluto sopravvalutare l’importanza dei bombardamenti a gas fatti dagli italiani[1]
Del Boca- ovviamente- accetta in toto le affermazioni del ras, arrivando a scrivere, a giustificazione delle melodrammatiche affermazioni di Cassa Darghiè sulla brina impalpabile ecc. che
l’iprite sinora era stata lanciata soltanto in grossi bidoni e non irrorata con speciali diffusori .
Il che è una tra le tante (troppe) sciocchezze sparse nel libro del giornalista novarese: i gas venivano lanciati con le bombe C.500T, che esplodevano ad un’altezza di 250 metri spargendosi poi per ellisse di 500 m per 100, e non diffusi con irrogatori.
Angelo Del Boca dedicò ampio spazio all’argomento della guerra chimica (cui dedicò un successivo volume, I gas di Mussolini. Il fascismo e la guerra d’Etiopia pubblicato dalla casa editrice del partito comunista italiano, e recentemente ripubblicato). Approfittando del prolungato e colpevole silenzio ufficiale sull’argomento la realtà venne deformata, parlando di migliaia, o addirittura centinaia di migliaia di morti.
Del Boca si affida per sostenere le sue tesi soprattutto a fonti abissine e a testimonianze di giornalisti anti-italiani che, ad esser generosi, si possono definire quantomeno di dubbia attendibilità.
Per quanto riguarda l’affidabilità della testimonianza di ras Cassa si può citare come esempio:
A Choum Aorié (…) le cento mitragliatrici che furono prese là, caddero nelle nostre mani senza l’aiuto del fucile, ma solo con quello delle sciabole. Nessuna forza di terra avrebbe potuto arrestare i miei uomini che sembravano passare fra le raffiche. Essi piombavano così rapidi sugli italiani che gli strappavano dalle mani il fucile (…) dinanzi a tali demoni, gli italiani, non conservando che i loro pantaloni appesi alle cinture, sparivano come la polvere .
Ovviamente, gli italiani durante la guerra d’Etiopia non persero mai cento mitragliatrici, né in una sola giornata e nemmeno in tutto il conflitto. Come si vede, voler scrivere la storia della guerra d’Etiopia basandosi su queste fonti è come voler scrivere la storia della prima Crociata basandosi su Torquato Tasso. Però Del Boca finge di crederci…
Il fatto che siano stati realmente usati i gas non deve nascondere che molto di quello che scrissero allora i giornalisti (poi ripreso da certi autori) fosse frutto di psicosi e di propaganda assolutamente non basata sulla realtà. Ewelyn Waugh (Del Boca riesce a sbagliarne nome e cognome, chiamandolo Evelyne– che è un nome femminile!- Waught) ricorda che la notte tra il due ed il tre ottobre del 1935 i giornalisti di Addis Abeba erano in preda al timore dei bombardamenti italiani, aggiungendo che di certi corrispondenti si racconta che giocarono a poker tutta la notte indossando le maschere antigas [2].
La psicosi dei bombardamenti e la propaganda anti italiana nei primi giorni di guerra è ben evidenziato dall’episodio grottesco delle corrispondenze sul bombardamento e la distruzione dell’ospedale di Adua, distruggendolo ed uccidendo molte donne e bambini, e dove sarebbe morta un’infermiera volta a volta svedese od americana, della quale si davano anche il nome, ed una descrizione che in realtà variava anch’essa di volta in volta, come l’età, una bella signora alta un metro e settanta, di trentadue anni, descrizioni che variavano a secondo che “testimoni” fossero un greco che conosceva bene il posto, un architetto svizzero sposato ad una mulatta od un pilota di colore americano cui l’infermiera avrebbe offerto una cioccolata proprio cinque minuti prima del bombardamento. Lo stesso Haile Selassie rimase colpito e turbato dalla tragica fine dell’infermiera.
In realtà non erano mai esistiti né l’ospedale né la crocerossina martire, come ben presto Waugh ed i suoi colleghi avevano capito:
Quando cominciammo a cercare di raccogliere particolari sull’accaduto, ci nacque il dubbio che forse ad Adua non c’era mai stato nessun ospedale. Di certo non esisteva un ospedale etiopico, e le unità della Croce Rossa non erano ancora arrivate fin lassù; quanto alle missioni, non sapevano nulla di un loro ospedale ad Adua, né i Consolati sapevano di loro connazionali che vi fossero occupati.
I giornalisti furono costretti a rispondere alle pressione dei propri giornali per avere notizie:
Ben presto cominciarono ad arrivare cablogrammi da Londra e da New York: “Richiediamo al più presto nome biografia fotografia infermiera americana saltata aria”. Rispondemmo: “Infermiera non saltata aria” e dopo qualche giorno la cosa aveva già cessato di fare notizia: Waugh. Pignatelli scrive a proposito di quest’episodio: La stampa internazionale, nella quale contavamo in quel tempo ben pochi amici non ci risparmiò le sue rampogne, esagerò anzi i racconti dell’episodio, indicando gli italiani come massacratori di popolazioni inermi.
Ancor oggi taluni storici continuano a parlare del bombardamento di Adua e del suo ospedale. Il lettore forse non si stupirà nello scoprire che tra tali autori vi siano Del Boca ed il buon Mack Smith.
Pierluigi Romeo di Colloredo
(leggi qui la prima parte)
(leggi qui la seconda parte)
NOTE
[1] Goglia 1985, p.10.
[2] Waugh When the going was good, London 1946 (tr. it. Milano 1996), p.409.
I “crimini di guerra" in Etiopia: la verità oltre la faziosità anti-italiana (3)
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2 comments
Molto interessante. Grazie.
La storia si racconta completa , bravi