142
Treviso, 15 ago – Gira in questi giorni la storia (vera) e nelle intenzioni alquanto strappalacrime di un tale Silvio Calò, professore di storia e filosofia al liceo classico Canova di Treviso, che nella sua abitazione di Povegliano ospita da un paio di mesi sei presunti profughi di origine sub-sahariana, due dal Ghana, due dalla Gambia e due dalla Nigeria.
Un’iniziativa che si innesta nel più vasto e datato progetto “Rifugiato a casa mia” promosso a livello nazionale dalla Caritas e sposato da varie diocesi sparse sul territorio – un progetto di cui si annuncia un ulteriore rilancio in settembre.
Dopo l’accoglienza nei grandi centri, i cosiddetti Cara (Centri di accoglienza per richiedenti asilo), le ospitalità in immobili di proprietà delle Regioni, delle Asl e delle Prefetture, la cui gestione viene poi conferita mediante gara pubblica a soggetti dotati di esperienza nel settore sociale e specificamente dell’accoglienza, il reperimento diretto presso la medesima tipologia di soggetti di centri in grado di ospitare mediamente tra 10 e 100 persone, mediante gare espletate dalle Prefetture, infine il noleggio di strutture prefabbricate da collocare a pioggia nei comuni del territorio di afferenza degli enti regionali, l’ingegno buonista e accogliente ha escogitato questa nuova soluzione per spalancare ancora di più le porte d’Italia all’invasione.
Di fronte alle polemiche sul presunto lucro che la famiglia Calò trarrebbe dall’ospitalità casalinga dei richiedenti asilo, il professore ha consegnato al Corriere della Sera il proprio “bilancio” riferito all’attività di accoglienza: si tratta di 5.400 euro mensili erogati dallo Stato, attraverso la Prefettura, che lo stesso Corriere indica come provenienti dal bilancio della Comunità Europea. Cioè, 30 euro al giorno per “ospite”.
Di questi, 1.500 euro per spese alimentari, 1.400 euro servono per pagare una signora, messa in regola da una non meglio specificata “cooperativa”, che segue gli immigrati durante il giorno, 450 euro per la famosa paghetta (2,5 euro al giorno ad ospite), 600 euro per le bollette e le spese della casa, 300 per la gestione organizzativa della stessa “cooperativa”, 200 per uso di auto e benzina, 400 per il servizio di una psicologa professionista. Alla fine, insomma, oltre agli stessi ospiti, qualcuno ci guadagna in realtà, anche se per lavorare a servizio degli immigrati clandestini.
I rimanenti 250 euro, secondo Calò, “se non servono per altre spese, li usiamo per creare un fondo per eventuali viaggi di ricongiungimento dei coniugi: tre dei nostri ospiti – spiega il professore – sono sposati con figli, tutti rimasti in Africa. I benefici che stiamo avendo insomma non sono economici, ma umani”.
Nessuno, sia chiaro, e tanto meno noi, dubita della buona fede del prof. Calò né del suo personale sacrificio sul piano pratico. Tuttavia, come recita l’adagio, la via dell’inferno è lastricata spesso di buone intenzioni, magari corredate di buonissimi sentimenti.
In primo luogo, qualsiasi sia l’origine dei fondi – statali o europei – si tratta di risorse prodotte comunque dagli Italiani e ad essi semplicemente sottratte. Non si tratta quindi di un trasferimento “neutro” di fondi, anzi proprio il contrario. Noi paghiamo per mantenere questi immigrati economici irregolari di tasca nostra.
In secondo luogo, ben il 40% dei fondi erogati alla famiglia Calò servono per foraggiare le sovrastrutture necessarie al funzionamento: “badante”, cooperativa e psicologa, mentre l’8% va direttamente in tasca ai clandestini. In tutto ammonta a circa metà delle risorse. Se un Italiano ha bisogno di badante o psicologo, forse non paga di tasca propria?
In terzo luogo, iniziative come questa, e più in generale quelle promosse dal progetto Caritas “Rifugiato a casa mia”, si prestano a una anarchia distributiva dei finti profughi che rischia di instillare tutti i rischi legati all’immigrazione in modo capillare e incontrollato sul territorio: per stessa ammissione di Silvio calò, mica li tengono sequestrati i loro ospiti. Cioè, una mattina potrebbero svegliarsi e scoprire che se ne sono andati chi sa dove.
Infine, ma forse questo è troppo difficile da comprendere per fanatici buonisti del calibro del prof. Calò e altri epigoni dell’accoglienza direttamente in casa, incoraggiare tanto apertamente l’immigrazione irregolare in Italia rappresenta per se’ un danno incalcolabile alla coesione sociale, allo stesso ordinamento nazionale e statuale basato su una fondamentale condivisione di valori, di lingua, di aspirazioni ed educazione.
Francesco Meneguzzo
Treviso, 15 ago – Gira in questi giorni la storia (vera) e nelle intenzioni alquanto strappalacrime di un tale Silvio Calò, professore di storia e filosofia al liceo classico Canova di Treviso, che nella sua abitazione di Povegliano ospita da un paio di mesi sei presunti profughi di origine sub-sahariana, due dal Ghana, due dalla Gambia e due dalla Nigeria.
Un’iniziativa che si innesta nel più vasto e datato progetto “Rifugiato a casa mia” promosso a livello nazionale dalla Caritas e sposato da varie diocesi sparse sul territorio – un progetto di cui si annuncia un ulteriore rilancio in settembre.
Dopo l’accoglienza nei grandi centri, i cosiddetti Cara (Centri di accoglienza per richiedenti asilo), le ospitalità in immobili di proprietà delle Regioni, delle Asl e delle Prefetture, la cui gestione viene poi conferita mediante gara pubblica a soggetti dotati di esperienza nel settore sociale e specificamente dell’accoglienza, il reperimento diretto presso la medesima tipologia di soggetti di centri in grado di ospitare mediamente tra 10 e 100 persone, mediante gare espletate dalle Prefetture, infine il noleggio di strutture prefabbricate da collocare a pioggia nei comuni del territorio di afferenza degli enti regionali, l’ingegno buonista e accogliente ha escogitato questa nuova soluzione per spalancare ancora di più le porte d’Italia all’invasione.
Di fronte alle polemiche sul presunto lucro che la famiglia Calò trarrebbe dall’ospitalità casalinga dei richiedenti asilo, il professore ha consegnato al Corriere della Sera il proprio “bilancio” riferito all’attività di accoglienza: si tratta di 5.400 euro mensili erogati dallo Stato, attraverso la Prefettura, che lo stesso Corriere indica come provenienti dal bilancio della Comunità Europea. Cioè, 30 euro al giorno per “ospite”.
Di questi, 1.500 euro per spese alimentari, 1.400 euro servono per pagare una signora, messa in regola da una non meglio specificata “cooperativa”, che segue gli immigrati durante il giorno, 450 euro per la famosa paghetta (2,5 euro al giorno ad ospite), 600 euro per le bollette e le spese della casa, 300 per la gestione organizzativa della stessa “cooperativa”, 200 per uso di auto e benzina, 400 per il servizio di una psicologa professionista. Alla fine, insomma, oltre agli stessi ospiti, qualcuno ci guadagna in realtà, anche se per lavorare a servizio degli immigrati clandestini.
I rimanenti 250 euro, secondo Calò, “se non servono per altre spese, li usiamo per creare un fondo per eventuali viaggi di ricongiungimento dei coniugi: tre dei nostri ospiti – spiega il professore – sono sposati con figli, tutti rimasti in Africa. I benefici che stiamo avendo insomma non sono economici, ma umani”.
Nessuno, sia chiaro, e tanto meno noi, dubita della buona fede del prof. Calò né del suo personale sacrificio sul piano pratico. Tuttavia, come recita l’adagio, la via dell’inferno è lastricata spesso di buone intenzioni, magari corredate di buonissimi sentimenti.
In primo luogo, qualsiasi sia l’origine dei fondi – statali o europei – si tratta di risorse prodotte comunque dagli Italiani e ad essi semplicemente sottratte. Non si tratta quindi di un trasferimento “neutro” di fondi, anzi proprio il contrario. Noi paghiamo per mantenere questi immigrati economici irregolari di tasca nostra.
In secondo luogo, ben il 40% dei fondi erogati alla famiglia Calò servono per foraggiare le sovrastrutture necessarie al funzionamento: “badante”, cooperativa e psicologa, mentre l’8% va direttamente in tasca ai clandestini. In tutto ammonta a circa metà delle risorse. Se un Italiano ha bisogno di badante o psicologo, forse non paga di tasca propria?
In terzo luogo, iniziative come questa, e più in generale quelle promosse dal progetto Caritas “Rifugiato a casa mia”, si prestano a una anarchia distributiva dei finti profughi che rischia di instillare tutti i rischi legati all’immigrazione in modo capillare e incontrollato sul territorio: per stessa ammissione di Silvio calò, mica li tengono sequestrati i loro ospiti. Cioè, una mattina potrebbero svegliarsi e scoprire che se ne sono andati chi sa dove.
Infine, ma forse questo è troppo difficile da comprendere per fanatici buonisti del calibro del prof. Calò e altri epigoni dell’accoglienza direttamente in casa, incoraggiare tanto apertamente l’immigrazione irregolare in Italia rappresenta per se’ un danno incalcolabile alla coesione sociale, allo stesso ordinamento nazionale e statuale basato su una fondamentale condivisione di valori, di lingua, di aspirazioni ed educazione.
Francesco Meneguzzo
3 comments
Considera anche questo: nei 1.500 euro di spese alimentari, nei 200 euro di spese di auto e benzina, nei 600 euro di spese della casa e bollette, ci sono anche le SUE spese. Quindi lui lucra, e alla grande, risparmiando (non pagando praticamente nulla) sulla spesa, sulle bollette e sull’auto.
Sia il commentatore Federico che l’autore dell’articolo dimostrano una notevole ignoranza sul come funziona l’accoglienza, probabilmente non per colpa loro ma plagiati dalla propaganda di una certa parte politica, che fa leva sull’odio e sulla non conoscenza per raccogliere voti.
Ma che, sei tu che non hai capito non tanto come (non) funziona l’accoglienza, ma il quadro più generale che tante volte abbiamo cercato di spiegare, per esempio qui: http://www.ilprimatonazionale.it//cronaca/quasi-due-milioni-immigrati-illegali-nel-2015-frontex-certifica-linvasione-delleuropa-38664/
Nessuno qui è plagiato né tanto meno razzista (ovviamente), solo cerchiamo di approfondire e far lavorare il cervello oltre la superficie.