Roma, 19 apr – Chi oggi si affretta a rivendicare Porco Rosso come una mascotte dell’antifascismo contemporaneo, dovrebbe forse prendersi la briga di guardarlo davvero, quel film: e non solo per l’occasione buona del 25 aprile. Non per le atmosfere romantiche, non per la poesia dell’animazione, ma per ciò che racconta sotto la superficie: la storia di un uomo trasformato in maiale non per una colpa, ma per una scelta.
Porco Rosso, il contrario dell’antifascismo
A ben guardare, oggi Marco Pagot — pilota solitario, individualista, sprezzante verso le mode ideologiche — avrebbe più in comune con i “fasci” che con l’antifascismo da salotto. In un mondo dove ogni mascolinità è tossica, dove l’onore è un concetto “fascista” e la patria è diventata una parolaccia, Porco Rosso vola letteralmente da solo. Ma sicuramente non con loro. Il famoso slogan “Meglio porco che fascista” – diventato scontato come gli auguri per le feste di Natale – Miyazaki non l’ha mai concepito nel senso stretto, ma soprattutto non l’ha pensato per i nuovi partigiani. Era un’espressione poetica, esistenziale, un astensione anarchica da ogni forma di totalitarismo, di pensiero unico, di irrigidimento e di irreggimentazione. Era un rifiuto dell’omologazione, non un’adesione a un altro sistema di pensiero. E oggi, in un mondo in cui l’antifascismo è imposizione e protocollo istituzionale, cosa direbbe Porco Rosso? Decisamente il contrario. Con lo stesso tono cupo e disincantato oggi direbbe: “Meglio porco che antifà“. Non per nostalgia, non per ideologia, ma per coerenza con se stesso. Perché oggi antifascismo è esattamente ciò che lui aborriva: pensiero unico, culto dogmatico, esercizio di potere morale. L’antifascismo non ha il volto del ribelle, ma quello del funzionario. È il lasciapassare per accedere al mondo che conta, al consenso giusto, alla carriera. È un dovere sociale, un codice, un filtro. Nessuno può non dirsi antifascista, e proprio per questo è un non-valore: è l’aria che si è costretti a respirare, pena l’esclusione, la cancellazione, la diffamazione. In fondo, furono i giornalisti de L’Unità a criticare aspramente l’irruzione “del magico, dell’irrazionale” e “di valori arcaici”, quando in Italia sbarcò l’animazione giapponese. Fu La Repubblica a demolire Goldrake perché celebrava “l’orgia della violenza annientatrice, il culto della delega al grande combattente, la religione delle macchine elettroniche, il rifiuto viscerale del ‘diverso’”. La sinistra sapeva già che nessun eroe solitario avrebbe potuto mai essere integrato nella sua ortodossia ideologica.
Porco Rosso non vola con voi
Ecco perché Porco Rosso oggi non volerebbe con voi. Perché voi siete diventati il sistema. Non siete i dissidenti, siete i dogmatici. Non siete i solitari, siete i gregari. Non siete i poeti dell’aria, ma i burocrati della terra. Marco Pagot non si sarebbe fatto incasellare nel politicamente corretto, nella narrazione unica, nell’antifascismo prêt-à-porter. Sarebbe l’eccezione fastidiosa, l’uomo che non firma il manifesto, il pilota che non si presenta alla cerimonia per incompatibilità cronica con ogni forma di costrizione morale. E questo, oggi, lo renderebbe immediatamente un sospetto, un nemico, un “pericoloso reazionario”. Un Fascista. Porco Rosso, con il suo aereo rosso fuoco è un puntino insopportabile nel cielo perfettamente normato dell’antifascismo contemporaneo. E allora sì, meglio porco che antifà: non per nostalgia del passato, ma per odio del presente. Per ribadire che la vera libertà non si allinea, non si dichiara, non si timbra. Miyazaki, consapevolmente o no, ha creato un personaggio aristocratico nell’anima, tragico e fuori tempo che non sta bene sulle lingue del conformismo. Perchè Porco Rosso è un uomo che ha perso la fede nell’umanità, ma non cerca la redenzione nella lotta di classe. Non chiede giustizia e diritti per tutti, esige distanza. Riconosce solo l’azione e il cameratismo. Ed è simbolico il fatto che sarà proprio il camerata Ferrarin a portarlo via, salvandolo dal “mondo della gente rispettabile“, incarnando quella che fu la vera anima duale del Fascismo: anarchia e imperium, banda di fratelli e ordine costituito.
Anarchia e imperium
Come ci ricorda Adriano Scianca nel saggio Contro l’eroticamente corretto: “Per non appassire, la civiltà deve tenere insieme le due dimensioni. Se prevale la banda, è l’anarchia, se domina il padre, è un potere opprimente che soffoca l’individualità. La banda va integrata nella Legge in modo organico“. Porco Rosso più che la storia di un partigiano in lotta contro il Fascismo è il racconto del pendolo di ogni civiltà: la ricerca dell’ordine e il fascino del caos. Chi più dei Fascismo ha conosciuto l’inebriante bellezza di essere sia “minoranza rumorosa” che l’assoluta obbedienza di una “maggioranza consenziente”? Chi più dei Fascismo ha imparato a sue spese la distinzione tra “veri squadristi” e accondiscendenti yes-man? Chi più del Fascismo è stato sia la schiettezza brava degli Arditi che l’ingessato burocrate in carriera? Ecco, la verità è che Porco Rosso assomiglia molto di più al vecchio ardito della pattuglia che si scontra con la degenerazione burocratica di una rivoluzione che – volente o nolente – una volta compiuta deve istituzionalizzarsi, che al partigiano del 25 aprile che accoglie i “liberatori”. Più Ettore Muti che Palmiro Togliatti. Più Berto Ricci che Roberto Saviano. Per questo, oltre alla battuta tenuta in cantina e ritirata fuori per darsi arie intellettualoidi, il Porco Rosso di Miyazaki ha sempre volato più in alto di qualsiasi mediocrità borghese e democratica.
Sergio Filacchioni