Roma, 20 mar – Secondo la notizia riportata da Ansa, il sindaco di Istanbul, Ekrem İmamoğlu, è stato arrestato. İmamoğlu è considerato il principale avversario politico del presidente Recep Tayyip Erdoğan e una figura chiave dell’opposizione turca. L’arresto arriva a pochi giorni dalle elezioni amministrative del 31 marzo 2025, in cui İmamoğlu era candidato per un secondo mandato. Le accuse nei suoi confronti non sono ancora del tutto chiare.
La Turchia vieta le manifestazioni e silenzia i social
Il primo cittadino è stato raggiunto all’alba da un centinaio di agenti che si sono recati nella sua abitazione per arrestarlo, pochi giorni prima delle primarie del suo partito dove aveva annunciato che si sarebbe candidato per correre alle elezioni presidenziali, in programma nel 2028. Il sindaco, eletto con il maggior partito di opposizione Chp (il Partito Popolare Repubblicano di Atatürk), è stato messo sotto custodia in base a varie accuse, tra cui “favoreggiamento al terrorismo” in relazione al Pkk e “corruzione”, mentre nelle stesse ore sono state arrestate anche altre 84 persone ritenute a lui vicine, tra cui politici di altre municipalità di Istanbul e giornalisti. Come già accaduto in passato in Turchia l’avvenimento ha provocato una forte reazione, che si è scatenata immediatamente dentro le Università e nelle strade. Ankara ha imposto subito blocchi ai principali social network, come X, Instagram, Facebook e YouTube, mentre la prefettura di Istanbul ha vietato per quattro giorni manifestazioni politiche. Nonostante i divieti si sono verificate marce studentesche che sono sfociate in pesanti scontri, a Istanbul come ad Ankara e Smirne.
Erdoğan: un giocatore su più fronti, una minaccia per noi
Negli ultimi vent’anni, Erdoğan ha costruito un modello di potere ambizioso e aggressivo, giocando su più tavoli geopolitici. Da un lato si è avvicinato alla Russia, acquistando armi da Mosca e mantenendo un rapporto privilegiato con Putin. Dall’altro, ha stretto legami economici e militari con Israele, consolidando la sua posizione come attore chiave nel Medio Oriente. Ma la sua vera ambizione è sempre stata un’altra: riaffermare la Turchia come potenza egemone nel Mediterraneo e nei Balcani, spesso a scapito dell’Europa e dell’Italia. Ankara è presente militarmente in Libia, minaccia la Grecia, sfida i nostri interessi energetici nel Mediterraneo orientale e utilizza i flussi migratori come arma di ricatto nei confronti di Bruxelles. Quindi, questo scontro interno non può essere ridotto a un semplice contrasto tra “autoritarismo versus democrazia” – come qualcuno cercherà di farci credere – perchè sarebbe un errore: ciò che è in gioco è ben più grande e riguarda direttamente gli interessi dell’Europa e dell’Italia nel Mediterraneo.
Il CHP, un partito non classificabile a Occidente
Sulla carta il CHP (il partito che sta sfidando apertamente Erdogan) appartiene alla famiglia dei partiti socialdemocratici ed è affiliato all’Internazionale Socialista e al Partito dei Socialisti Europei (PSE). Tuttavia, definirlo semplicemente “di sinistra” sarebbe fuorviante, perché la sua ideologia è profondamente diversa dal progressismo occidentale. Il CHP è un partito con radici kemaliste, fondato da Mustafa Kemal Atatürk, quindi combina nazionalismo, repubblicanesimo, laicismo e statalismo economico. Storicamente è contrario all’influenza religiosa nella politica e ha mantenuto una linea di laicismo radicale, distinguendosi dall’AKP di Erdoğan; nonostante al suo interno vi sia una forte componente Alevita (una corrente sciita dell’Islam, il secondo gruppo religioso della Turchia dopo i sunniti). Tuttavia, non è assimilabile alla sinistra progressista occidentale: il suo nazionalismo è forte, con un approccio centralista non proprio votato all’integrazione etnica. Sul piano economico, è passato nel tempo da un modello interventista a una socialdemocrazia pragmatica, senza prendere derive populiste o rivoluzionarie. Pur essendo più aperto al dialogo con l’Europa rispetto all’AKP, il CHP mantiene una visione di sovranità nazionale ereditata dalla dottrina di Atatürk (“Pace in patria, pace nel mondo“), con una certa diffidenza sia verso NATO e USA che verso l’UE. Il CHP non è un partito anti-nazionale o filo-globalista: rappresenta piuttosto una versione alternativa del nazionalismo turco, decisamente meno islamista e più laica.
La Turchia è in bilico, Erdogan compreso
Se la storia ci può insegnare qualcosa è proprio che nessuno è eterno. Erdoğan, pur essendo stato un leader estremamente abile nel consolidare il suo potere, non è invincibile. L’ha scampata da sfide enormi, come il tentato golpe del 2016, le proteste di Gezi Park nel 2013 e diverse crisi economiche. Sicuramente questo nuovo colpo alle opposizioni riaccenderà tensioni rimaste latenti. In primis la svalutazione della lira turca, l’inflazione fuori controllo e il crescente malcontento per la gestione economica sono tra le minacce più serie al suo governo. Erdoğan ha mantenuto il potere grazie a politiche economiche espansive, ma il crollo della moneta e il costo della vita sempre più alto potrebbero erodere il suo sostegno, soprattutto tra le classi popolari. In secundis la situazione del suo stesso partito: l’AKP è rimasto coeso finora grazie al suo carisma e alla distribuzione del potere tra élite islamiste e nazionaliste. Tuttavia, se il consenso dovesse calare drasticamente, potremmo assistere a spaccature interne e alla disgregazione del blocco di potere che lo sostiene. Infine, anche se Erdoğan ha purgato l’apparato militare dopo il golpe del 2016, una crisi più profonda potrebbe riaccendere tentazioni golpiste.
Il nostro interesse da Europei e Italiani
L’arresto di İmamoğlu è solo l’ultimo segnale di un Paese in bilico tra due modelli opposti. Ma attenzione, non si tratta di sostenere acriticamente İmamoğlu o di celebrare il CHP come un partito filo-occidentale, ma di capire quale Turchia sia più conveniente per l’Europa. La scelta è tra un regime islamista e imperiale che minaccia i nostri confini e una forza nazionalista e laica che potrebbe rappresentare un contrappeso certamente più gestibile. In ballo ci sono diversi dossier: territoriali, energetici, migratori, il Medio Oriente come la Libia. Ovviamente, è giusto sottolinearlo, un’eventuale caduta del “sultano” non garantirebbe certo l’allineamento automatico della Turchia all’Europa: tutto dipenderà da chi prenderà il potere dopo di lui.
Sergio Filacchioni