Roma, 15 gen – Oggi il Ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara ha annunciato il “rimpasto” delle materie scolastiche per scuole elementari e medie: un processo che in Italia è sempre sottoposto a capricci e ripicche, beghe accademiche e vecchi totem ideologici. Quel che suscita sempre polemiche però è il Latino.
La scuola e il latino, una vecchia diatriba
L’opposizione tra materie scientifiche ed umanistiche è un retaggio vecchio, che inquina ogni proposta pedagogica nuova o comunque “strutturale” ad un progetto. Ogni qual volta si parla di Latino a scuola, l’Italia si divide: è una materia inutile da una parte, è una materia tradizionale dall’altra. Beghe accademiche che perdono il polso della situazione e soprattutto trasformano una lingua in una materia inerte. Una lingua che volenti o nolenti, anche se non è più parlata correntemente, forma e informa il mondo occidentale da più di duemila anni, anche attraverso le sue trasformazioni e filiazioni romanze: francese, spagnolo e portoghese per capirci. Potremmo accontentarci di dire: superiamo questa contrapposizione materie umanistiche versus materie scientifiche e concentriamoci sul radicamento dei nostri studenti in una tradizione storica, così da avere sia lavoratori tecnici che lavoratori d’intelletto ugualmente formati. Che poi quale lavoro è puramente manuale e quale puramente astratto? Non si sa, eppure la dialettica sull’argomento si concentra tutto sul potere salvifico di un ente rispetto ad un altro: il “latino verrà a salvarci dalle intelligenze artificiali” è strampalato tanto quanto un approccio puramente utilitaristico alla cultura. Potremmo accontentarci, si diceva, di metterci alle spalle questo strano ossimoro venutosi a creare nell’ultimo secolo. Possiamo avere sia poeti che costruttori di ponti, dopotutto. Nessuna tavola della legge ha mai vietato ad un ingegnere di leggere, capire ed apprezzare un sonetto di Byron o i Fiori del male di Baudelaire. Sembra però che in queste infinite polemiche si perda di vista qualcosa a proposito del Latino, o della lingua in generale: essa è lo strumento di una visione del mondo.
La visione del mondo del Latino
Messa in quest’ottica, la lingua Latina potrebbe essere molto più “utile” di quanto si creda, strappandola alla nicchia umanistica (o peggio cristiano-cattolica) nella quale aleggia come un santino. Il Latino, come ogni lingua, riflette la visione del mondo del popolo che lo parlava, in questo caso i Romani e la loro civiltà. Ordine e gerarchia; universalità e praticità; senso di durata e immortalità; rigorosità ed astrazione; centralità dell’azione e connessione tra sacro e destino; comunità e appartenenza. Studiare il Latino come una lingua parlata e potenzialmente viva avrebbe molto più senso che studiarla per poter fare una versione. Ma anche a livello pedagogico ha le sue qualità: il Latino è una lingua altamente strutturata con regole grammaticali precise. Studiarla aiuta a sviluppare il pensiero logico, l’attenzione ai dettagli e le capacità analitiche. Il Latino è una disciplina, nel senso più amplio della parola: un potente strumento per la formazione personale e intellettuale. Insomma, il Latino era una lingua di religiosissimi e disciplinati conquistatori: “Parlare per un’ora senza dire niente. Cosa impossibile col latino“, sentenzia Guareschi in un noto passo, “Il latino è una lingua precisa, essenziale. Verrà abbandonata non perché inadeguata alle nuove esigenze del progresso, ma perché gli uomini nuovi non saranno più adeguati ad essa“. Il Latino potrebbe quindi tornare ad avere una centralità pedagogica nella scuola italiana, ma per ragioni diverse da quelle di chi lo usa come totem della difesa della tradizione. Dare ai giovani una forma mentis improntata all’azione: la lingua Latina è orientata verso il verbo, il che sottolinea l’importanza dell’azione e del fare nella mentalità romana. I Romani erano un popolo di costruttori, conquistatori e legislatori, e la loro lingua lo riflette chiaramente. Perchè non rifletterlo nel presente?
La lingua come costruttrice d’identità
La lingua è la chiave dello sviluppo globale di un bambino: cognitivo, emotivo, sociale e culturale. La lingua è costruttrice d’identità più di qualsiasi altro strumento. E se il Latino, invece che trasferito qua e là tra medie e superiori, diventasse materia universale per le scuole elementari? Nei primi anni di vita il cervello dei bambini è particolarmente ricettivo all’apprendimento linguistico. Durante questo periodo i bambini assimilano con facilità suoni, strutture e regole linguistiche. Studiare il latino in età precoce – magari calibrandolo su filastrocche e racconti – potrebbe favorire lo sviluppo delle aree del cervello legate al linguaggio, alla memoria e al pensiero logico. Ma soprattutto ad assimilare una visione del mondo ed un’identità propriamente romana. Ogni cosa – a parere di chi scrive – può e deve essere uno strumento politico: insieme al Latino deve viaggiare però un progetto antropologico, una grande politica che mira a costruire classi dirigenti nuove, o semplicemente cittadini più consapevoli del loro ruolo nella storia. Non possiamo aspettarci che un motto Dannunziano riattivi automaticamente le forze di una stirpe come per magia. Alla lingua deve seguire anche un’azione sul mondo: altrimenti resta sempre tutto nello sterile campo dell’accademia, del pensiero fatto feudo, delle beghe tra professori. Il Latino può far parte di una civiltà istoriale (che fa la storia), oppure scomparire sostituito da qualcos’altro.
Sergio Filacchioni