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“Giurato numero 2”, i dubbi morali di Clint Eastwood

by Roberto Johnny Bresso
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Roma, 1 dic – “Ogni giorno, quando mi sveglio, non lascio entrare il vecchio. Dal 1959 il mio segreto è sempre lo stesso: tenermi occupato. Non permetto mai al vecchio di entrare in casa. Ho dovuto cacciarlo fuori perché si era già sistemato comodamente, infastidendomi a tutte le ore e riempiendomi di nostalgia. Bisogna rimanere attivi, vivi, felici e forti. È tutto nella nostra mente, nel nostro atteggiamento e nella nostra mentalità. Siamo giovani indipendentemente dall’età. Bisogna imparare a non lasciarsi scoraggiare dal vecchio che ci aspetta stanco sul ciglio della strada”. Così ha dichiarato non molto tempo fa Clint Eastwood ad un giornalista che gli domandava come facesse ad essere ancora così attivo alla sua veneranda età.

L’ennesimo capolavoro

Ma, se le parole spesso restano tali, i fatti invece parlano da soli ed i fatti ci dicono che, a 94 anni, Clinton Eastwood Jr. ha sfornato l’ennesimo capolavoro della sua immensa cinematografia. A mio parere decisamente il più bello, riuscito ed etico delle sue produzioni recenti: sto parlando di Giurato numero 2 (Juror #2, in originale). Decisamente non male per chi era stato definito da Sergio Leone (che peraltro lo adorava e lo fece diventare una star mondiale) “un attore che ha solo due espressioni, una con il cappello e una senza il cappello”.

Nella Hollywood di oggi (ma direi in quasi tutta l’industria cinematografica mondiale) sappiamo bene che praticamente non esista quasi più spazio per le voci dissidenti dalla vulgata globalista, woke, inclusiva, femminista ed lgbtq. Ogni produzione deve passare al vaglio di una censura, che ricorda tanto quella del maccartismo in voga negli anni ’50, che etichettava qualsiasi voce fuori dal coro come comunista o sovversiva. Ora il maccartismo si è tinto di arcobaleno, ma i postulati sono gli stessi. Il buon Clint, vuoi per il suo status quasi divino, vuoi per la sua età, di tutto ciò si cura gran poco e si può permettere di girare le pellicole che vuole. E nemmeno i critici liberal possono avere l’ardire di criticarlo, anche perché la qualità del prodotto è veramente a prova di bomba.

Clint Eastwood e la critica al Me Too

Con Giurato numero 2 siamo apparentemente nel solido e consolidato tema del classico legal movie. Abbiamo un processo per omicidio a carico di un uomo accusato dell’omicidio della fidanzata, a Savannah in Georgia. L’uomo ha un passato violento, è un tipo irascibile e solo il suo avvocato crede fermamente nella sua innocenza. Mentre un’avvocatessa, in rampa di rampo lancio per il ruolo di procuratore distrettuale, pensa di sfruttare questo caso per dare la definitiva spinta alla sua carriera. Ecco quindi anche una critica al movimento Me Too, il quale prevede che un uomo, soprattutto se bianco ed eterosessuale, parta già condannato in aula e spetti a lui l’onere di dover provare la sua innocenza. Non il contrario.

In tutto questo vi si trova coinvolto un giovane giornalista con un passato da alcolista ed un futuro da padre, visto che sua moglie sta per dare alla luce una bambina. É lui il Giurato numero 2 del titolo, l’unico tra i dodici in giuria a porre dei dubbi sull’innocenza dell’imputato. Sembra un remake de La parola ai giurati (12 Angry Men), film del 1957 di Sidney Lumet, ma qui il giurato, non appena viene esposto il caso, si rende conto che in realtà l’assassino della ragazza potrebbe essere invece proprio lui, se pur nel ruolo di involontario pirata della strada che pensava di aver investito un cervo.

Scelte morali

Da quel momento Eastwood ci fa immedesimare nel ruolo del giurato e delle scelte morali che un uomo, nel corso della sua esistenza, è costretto a fare. Costituirsi e rovinarsi la vita? Fare finta di nulla e mandare per decenni un innocente in prigione? Cercare di far assolvere l’imputato? Fare annullare il processo? Non vi svelerò ovviamente la scelta che compie e le conseguenze sulle vite di molte persone, così come il finale, che ci lascia tanti interrogativi aperti. Cos’è la giustizia? Meglio una giustizia “etica” o una giustizia “concreta”? É preferibile un innocente in galera o un colpevole libero? Esiste una giustizia collettiva che può prevaricare la giustizia di un solo individuo?

Nessuno probabilmente conosce le risposte esatte, nemmeno Clint Eastwood, ma lui ha l’estremo coraggio di porsi ancora queste domande. Non è cosa da tutti.

Roberto Johnny Bresso

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