Roma, 2 nov – Il secondo millennio stava volgendo al termine, ma ci lasciava regalandoci una perla che, a distanza di venticinque anni, è ancora una pietra miliare del cinema e dell’arte. Stiamo parlando di Fight Club, diretto da David Fincher.
Dal romanzo alla pellicola
Per arrivare alla pellicola dobbiamo però partire dall’omonimo romanzo scritto dall’autore statunitense di origine ucraina Chuck Palahniuk. L’autore, omosessuale dichiarato ma talmente lontano dall’universo Lgbtq da esserne totalmente osteggiato, esordì alla pubblicazione nel 1996. Proprio con Fight Club, una storia che parte dal mondo dei combattimenti clandestini per poi sfociare addirittura in un tentativo di sovvertimento dell’ordine costituito. L’opera passò quasi del tutto inosservata. Anzi, le poche recensioni furono estremamente negative, accusando l’autore di voler glorificare la violenza e di dare una visione nichilista del mondo.
Probabilmente non avremmo quindi sentito parlare molto della storia se non fosse per David Fincher che, forte del successo di Seven, si innamorò del romanzo e decise di realizzarne una trasposizione cinematografica. Reclutati come protagonisti attori del calibro di Brad Pitt, Edward Norton, Helena Bonham Carter, Meat Loaf e Jared Leto, il successo sembrava assicurato. Come però spesso accade nel mondo dell’arte, i critici non sono al passo con i tempi. Così che, quando il film venne presentato in anteprima mondiale al Festival di Venezia il 10 settembre 1999, venne accolto da bordate di fischi e recensioni impietose. Ecco che, con queste premesse, venne distribuito nei cinema statunitensi il successivo 15 ottobre (in Italia arriverà il 29).
Il film, costato 63 milioni di dollari, ne incassò 100, il che non lo si potrebbe definire certo un successo. Io, insieme ad alcuni amici, da parte mia posso dire di averci visto lungo, dato che la trama, intrisa di anarchia, nichilismo e violenza metropolitana, faceva presa su un ragazzo all’epoca quasi totalmente dedito alla vita ultras. Ma, dietro questa apparenza, la pellicola ci mostra un feroce attacco alla società consumistica, all’individualismo estremo. Al rigetto della società edonista che rifiuta l’impegno sociale e politico. E tutto questo senza disdegnare la lotta ed il combattimento, perché, come dice Tyler Durden, “Quanto conosci di te stesso se non ti sei mai battuto?”.
Fight Club diventa un film di culto…
E poi a cambiare tutto ci pensò il mercato dell’home video, che trasformò Fight Club in un cult movie. E fece scoprire il romanzo da cui era tratto, tanto da trasformarlo in un best seller. Da allora anche i critici (ma guarda un po’) si sono ricreduti. Le stroncature si sono trasformate in accorati peana, tanto che la rivista britannica Empire, nel 2008, ha inserito la pellicola al decimo posto nella lista dei 500 migliori film della storia. Fight Club, esattamente come Pulp Fiction, di cui ho parlato poche settimane fa, ha resistito benissimo al passare del tempo, risultando anzi di anno in anno più attuale che mai. Che dire poi del finale perfetto (tra l’altro differente da quello del romanzo), con il Narratore e Marla Singer che assistono alla distruzione della società sulle note di quel capolavoro che è Where Is My Mind? dei Pixies?
Palahniuk ha poi continuato la vicenda di Tyler Durden nelle graphic novel Fight Club 2 e Fight Club 3, mentre Fincher ne ha fatto una sorta di seguito apocrifo con The Killer, guarda caso anche questo non capito e stroncato dalla critica.
Del resto stiamo parlando di qualcosa che è diventato iconico anche grazie alla celebre prima regola del Fight Club: “Non si parla del Fight Club”. Ed invece è proprio il passaparola che lo ha messo sulla bocca di tutti. Sono gli eterni paradossi della nostra società, della quale proprio il film ci ha insegnato a diffidare. Ma restandone ben all’interno, come in fondo è giusto che sia.
Roberto Johnny Bresso