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La notte prima della Rivoluzione

by Marco Battistini
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Roma, 27 ott – “Roma o morte. Allora è vero quanto si diceva ieri sera. Siamo quindi dei rivoluzionari nel senso più ampio, siamo in rivolta, e questa parola invece di farmi meditare come dovrebbe accadere ad una persona normale, mi mette addosso una gioia sottile”. Siamo a Pisa, è il 27 ottobre 1922: Mario Piazzesi – autore del Diario di uno squadrista toscano – alla visione di un esplicativo manifesto, annota queste righe tra le sue memorie. Sì, lo sappiamo, siamo in anticipo di un giorno, non è questa la data della ricorrenza ufficiale. Ma dal momento che in troppi ne hanno parlato (e continueranno a parlarne) a sproposito ci sembra interessante fare un passo indietro e capire – appunto – cosa successe la notte prima della Rivoluzione. O meglio, nei momenti appena precedenti.

Inno alla gioventù

Dopo aver rispedito al mittente le violenze comuniste nel corso del biennio rosso, il movimento fascista – nel contesto di uno stato liberale sempre più logoro e debole – seppe radicarsi come interlocutore politico tanto nelle città quanto in periferia e nelle campagne. Decisamente più inquadrato rispetto ai compagni, mosso non dal materialismo ma da un fuoco ben presto sacralizzato. Inno alla gioventù, allo stesso tempo goliardica e beffarda. 

“Altro che borghesi, questo è popolo” se volessimo usare ancora le parole di Piazzesi: contadini e operai, studenti (tanti giovani, si stima il 40% del totale) e – particolare importante, in quelle ore fatidiche – reduci della Grande Guerra. Età media intorno ai 23 anni, “le facce dei fanti del Carso, del Grappa”, sempre per dirla con lo stesso squadrista fiorentino.

“Roma dei pantofolai, dei barbuti penbensanti”: era vista così la capitale dalle camicie nere. Già nel 1919 – più precisamente il 2 ottobre, sulle pagine del Popolo d’Italia – Benito Mussolini constatando che “molta gente” soffrisse “per non poter andare a Fiume” si domandava se tutti, davvero, si fossero dimenticati la strada dell’Urbe. Diventerà mito, ma – ovviamente – andava prima ottenuta. Perché se la dannunziana Città di vita fu ad ogni modo una grandiosa esperienza, il romagnolo molto pragmaticamente aveva un chiaro obiettivo politico da perseguire.

L’adunata di Napoli e la mobilitazione dell’Italia settentrionale

Lettura degli eventi e cartina geografica. C’era chi minimizzava l’ormai strabordante peso specifico nel paese reale delle camicie nere. Come Luigi Facta, presidente del consiglio, quello del “nessuno mi toglie dalla testa che l’espressione (ovvero la marcia su Roma) va interpretata come una figura retorica”. Altri giolittiani irridevano mezzo stampa il futuro capo del governo, “pistola scarica da far paura”. Per lorsignori anche l’eventualità di un solo ministero a Mussolini si sarebbe avvicinato più allo scherzo che alla realtà.

Nel mentre qualcun altro, al contrario, era alacremente al lavoro con un’ottica diversa: prima di tutto la questione territoriale. Così dall’adunata di Napoli ai fermenti del centro-Nord il passo fu breve. Il 26 ottobre 1922 viene fatto riferire a Vittorio Emanuele III che solo le dimissioni di Facta avrebbero potuto fermare un’insurrezione pronta – in tutto lo Stivale – a ricevere l’innesco. Di fronte alla “macchina ormai montata” corona e governo si giocano la carta del rimpasto, aprendo così ai fascisti.

Entra qui in gioco Michele Bianchi, quadrunviro e sindacalista rivoluzionario, figura passata ingiustamente sotto traccia. È lui a spingere, anche con la stampa, per la formazione di un esecutivo guidato da Mussolini. A Perugia, nel quartier generale, si è consci di dover giocare una doppia partita. Tattica e muscolare, politica e militare. Sono ore in cui l’Italia in camicia nera ribolle: disattendendo gli ordini è proprio la Toscana descritta dal sopracitato diario a mobilitarsi prima delle altre regioni, occupando fisicamente ogni edificio pubblico possibile. È la notte tra il 27 e il 28, la notizia di quelle colonne in movimento arriva nei palazzi romani. Stanchi, traballanti e in disaccordo totale.

Una nuova alba, la notte prima della Rivoluzione

Secco e deciso – ficcante descrizione di Ernesto Daquanno del Popolo d’Italia Mussolini segue e coordina dalla sua redazione milanese, respingendo tutte le proposte di mediazione. Allarmato dal fare fermo e deciso degli squadristi – che hanno la lucida volontà di non mettersi contro l’esercito – Vittorio Emanuele III ribadisce l’intenzione di difendere Roma con la forza.

Provvidenziale, almeno per l’aver evitato inutili carneficine, l’intervento di Armando Diaz. Nell’ipotesi sempre più reale di uno scontro frontale con i fascisti ormai alle porte, viene sollecitato dal re sulla fedeltà dell’esercito. «Certo, Maestà. Ma sarebbe meglio non metterlo alla prova» l’intelligente risposta. Il Duca della Vittoria conosceva d’altronde il religioso rispetto che passava tra i reduci delle tempeste d’acciaio di entrambe le parti. La soluzione politica aveva quindi avuto la meglio. Con il respingimento della richiesta di stato d’assedio Facta rassegnò le dimissioni. Sono le 9 di mattina del 28 ottobre 2022: la notte prima della Rivoluzione si era appena consegnata alla storia.

Marco Battistini

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