Roma, 16 ott – Michele Bianchi nacque in Calabria e, pur da lì trasferitosi per seguire la sua vocazione rivoluzionaria, fu sempre legato alla sua Terra. Massone, la qual cosa non deve stupire, perché non era rara tra i sindacalisti rivoluzionari. Ad esempio anche Rossoni lo era. Proprio questi furono poi punta di diamante nel passaggio che portò alla fondazione e al consolidamento del movimento sindacale fascista e corporativo.
Il sindacato come base del corporativismo
Socialista di tendenza rivoluzionaria, fu tra i primi sindacalisti. Comprese la potenza del sindacato che, dopo aver subito il processo evolutivo, è base granitica del corporativismo fascista. Combatté l’eccessivo materialismo del socialismo ufficiale e la degenerazione politica di quel partito, concorrendo a preparare il terreno per le future trasformazioni. Giornalista della Cronaca di Calabria, a Roma scrisse per l’Avanti e divenne direttore del foglio della gioventù socialista, per poi trasferirsi a Genova e a Savona in qualità di Segretarlo della locale Camera del Lavoro.
Nel capoluogo ligure diresse uno dei primi scioperi a contenuto morale: quello dei muratori per la conquista delle otto ore. E vi partecipò con tutta la sua passione e con tutto il suo coraggio. Viene ricordato in via Canevarì, steso per terra sui binari per arrestare la circolazione dei tranvai. La lotta era squisitamente morale. Non si trattava di aumentare il salario bensì di rendere il lavoro piacevole funzione sociale e non tortura per una gran parte della umanità.
Il sindacalismo? Mai fine a se stesso
Passa quindi ad assumere la segreteria della Camera del Lavoro di Ferrara, legandosi a Enrico Leone e Arturo Labriola. Nella città emiliana guida gli scioperi dei braccianti agricoli della provincia. In un libro a lui dedicato nel primo anniversario della sua morte, avvenuta il 3 Febbraio 1930, Angiolo Garofano scriveva “non deve suonar male la parola sciopero: quello era un mezzo che in quel momento ha avuto la sua efficacia. Ciò che conviene tener presente era la lotta per un grande principio di aspirazione mondiale, principio che il Duce ha sanzionato più tardi nella Carta del Lavoro”.
E aggiunge: “la lotta dì classe, quella superata, non deve essere però maledetta; essa era nelle condizioni politiche dì quel tempo in cui fu usata, uno strumento imperfetto, ma in quel momento insostituibile ed ha avuto il grande merito di allenare le classi alla associazione ed alla discussione dei problemi economici e politici, per la difesa degli interessi dì classe. Il corporativismo d’oggi, geniale organizzazione economico-politica, che tutto il mondo segue con grande interesse, non poteva esercitarsi senza la capacità associativa sviluppatasi col metodo della lotta di classe. Il corporativismo sarebbe rimasto teoria, se lo spirito associativo non fosse penetrato nell’animo del datore del lavoro e del prestatore d’opera e la legge avrebbe dovuto essere sostenuta con la coercizione.
Nel principio corporativo le classi hanno eguaglianza giuridica ed è con la realizzazione di questo principio che il sindacalismo, prima maniera, non è stato rinnegato. Il sindacalismo non era e non poteva essere fine a sé stesso. Era un mezzo di addestramento della massa alla lotta e nello stesso tempo preparazione allo studio per partecipare direttamente ad una gestione sociale in forme non ancora ben determinate. Soprattutto tendeva a non escludere la classe produttrice dalla gestione sociale rivendicando la sua personalità di produttore come elemento indispensabile del vivere civile.
Se il sindacato fosse rimasto eternamente strumento di lotta e dì studio non avrebbe assolto al suo compito ed alle sue premesse e doveva un giorno partecipare a quelle forme di attività per le quali era sorto ed aveva combattuto. Il sindacato infatti partecipa alla gestione sociale non trasformandosi in partito politico, così come aveva annunciato nelle sue premesse e mantiene la forma associativa di mestiere e professione cioè la forma di associazione del produttore. Così il sindacato diventa la base, elemento indispensabile del corporativismo fascista”.
Michele Bianchi: tra Corridoni e Mussolini
Tornando al nostro da Ferrara si trasferirà a Milano dove condivide con Filippo Corridoni l’avventura dell’Unione Sindacale Italiana, nata dalla scissione della CGL, avvenuta nel novembre del 1912, seguendo con lui la scelta interventista, come d’altronde una importante componente del Sindacalismo Rivoluzionario. Guida i Fasci d’Azione Rivoluzionaria, in stretta collaborazione con Benito Mussolini. Sviluppando così una collaborazione che a guerra finita lo porterà a diventare caporedattore del Popolo d’Italia. E ad essere uno dei fondatori dei Fasci di Combattimento il 23 marzo 1919.
Afferma: “bisogna avere il coraggio di dire che se le conquiste economiche del proletariato non saranno affondate nel granito di una prosperità industriale e commerciale, esse non potranno essere che effimere”. Nel 1922 organizza e prepara la Marcia su Roma, di cui diviene uno dei quadrunviri. Quindi, alle elezioni del 1924 ottiene un notevole successo personale,, morendo nel1930 di quella tubercolosi che gli aveva minato da sempre la salute, dopo aver ricoperto importanti incarichi governativi e assunto la responsabilità del Dicastero degli Affari Pubblici.
Lo stato dei produttori
Cosa rimane dell’opera di Michele Bianchi? Certamente non dimenticò la sua Calabria, dove promosse alcune opere pubbliche e favorì la fondazione di Camigliatello Silano, denominato fino al 1947 Camigliatello Bianchi. Inoltre, riprendendo lo scritto di Angiolo Garofano, grazie anche a lui “il corporativismo rappresenta il sistema più perfetto di organizzazione, permettendo alle classi la difesa dei rispettivi interessi conservando l’economia nazionale che è patrimonio collettivo. Lo Stato corporativo è lo Stato dei produttori i quali attraverso al sindacato assorbiranno con l’andare del tempo tutte le attribuzioni dello Stato politico realizzando le premesse basi del sindacalismo, inteso come teoria di gestione sociale, cioè teoria di movimento”.
Ettore Rivabella
Piccola Bibliografia
- Angiolo Garofano. Michele Bianchi, Continuità di carattere e pensiero. Casa Editrice R. Badiali e C. 1932 Nunziante Santarosa. Michele Bianchi tra rosso e nero. Pagine Libere . n. 5 Anno XVII . Maggio 1987
- AA.VV., Uomini e volti del fascismo, Bulzoni, Roma, 1980.
- Vittorio Cappelli. Il fascismo in periferia, Editori Riuniti, Roma, 1992 . Francesco Perfetti, Giuseppe Parlato, Il sindacalismo fascista, Bonacci, 1998. Francesca Tacchi, Storia illustrata del fascismo, Giunti, Firenze, 2000.
- Enzo Misefari, Il quadrumviro col frustino: Michele Bianchi, Lerici, 1977.
- Edoardo Caroni, Michele Bianchi. Il quadrumviro dimenticato, 2013, Infilaindiana Edizioni,