Roma, 11 lug – La Polonia è un Paese contro l’aborto, e c’è a chi tutto questo non sta bene. Come non stanno bene le resistenze ungheresi ai diktat Lgbt, come non stanno bene – su un fronte esterno all’impero americano – le contestazioni al gender che provengono da Mosca. L’ex impero sovietico, su certi punti, mostra una naturale condivisione. Sebbene le sue membra siano in contrasto tra loro, in certi casi pure piuttosto feroce.
La Polonia è una Nazione contro l’aborto: ma c’è chi prova a inglobare anche Varsavia
Come tutti i processi di inglobamento politico e culturale provenienti dalla potenza statunitense, anche quello polacco punta sui dibattiti interni, su politici locali compiacenti, sulle micce da accendere rigorosamente all’interno del Paese. In questo caso, la miccia viene accesa da Donald Tusk, il primo ministro, contro il presidente della Repubblica Andrzej Duda. Il tema è l’aborto, o interruzione di volontaria di gravidanza che dir si voglia. Attualmente, nel Paese è illegale, o meglio consentita solo in casi eccezionali di pericolo per la vita della madre. In tutte le altre circostanze si parla di un reato paragonabile allo stupro o all’incesto.
La miccia che potrebbe far esplodere la politica polacca è la legge sulla depenalizzazione dell’aborto che lo stesso Tusk ha intenzione di proporre, e che Duda ha duramente criticato. Così il primo ministro su X, con un post che peraltro si mostra interessato anche a “inglobare” Varsavia nell’universo Lgbt occidentale: ““Voteremo per depenalizzare l’aborto. Voteremo per le unioni civili come progetto del governo, anche se non mi è riuscito di convincere tutti”. Le unioni, ovviamente, comprendono quelle omsessuali.
Quanto al presidente della Repubblica, al momento si mostra piuttosto resistente, affermando di non voler firmare la legge e, sull’argomento, non facendo alcuno sconto: “L’aborto è un omicidio. Per me è semplicemente la privazione della vita”, pur precisando che le donne incinte non devono essere “in nessun modo punite” per un’interruzione volontaria di gravidanza. A prescindere però dalla “resistenza” polacca evidentemente in pericolo e dal fatto che prima o poi i grossi pesci mangino quelli piccoli (dunque l’immensità dei valori imperiali di ispirazione americana sulla piccola, anzi piccolissima Polonia), c’è da riflettere su un dato storico piuttosto evidente che molti ignorano o fingono di ignorare.
Il post-comunismo
Se il comunismo era foriero di approcci filosofici comunque progressisti all’esistenza (dal tema della distruzione della tradizione e della famiglia di stampo marxista alla persecuzione della religione in gran parte dei Paesi del blocco), il post-comunismo si rivela essere tutt’altro. La rigida formazione militaresca con cui, nel contesto del Patto di Varsavia, si educavano le generazioni di giovani cittadini, ha però evidenziato dietro di sé un lascito piuttosto marcato, che con il comunismo non ha niente a che fare. E ciò indipendentemente dal fatto che si parli di Polonia, Ungheria, Ucraina, Bielorussia o Russia e, quindi, di schieramenti attuali. Negli esempi sopracitati vige la più assoluta eterogeneità di posizioni politiche: Varsavia è fieramente antirussa, come è sempre stata, e fedelissima alleata degli Stati Uniti, Budapest, pur essendo parte dell’Alleanza Atlantica, molto meno, di Kiev conosciamo fin troppo bene gli orientamenti, Minsk è praticamente una propaggine di Mosca e Mosca…beh, è Mosca.
I Paesi o le regioni dell’ex cortina di ferro hanno dunque approcci molto differenti, ma una cosa li accomuna: una resistenza abbastanza pronunciata al liberal-progressismo occidentale. Non significa raccontare di mondi senza liberismo economico, senza individualismo o consumismo sfrenato: sono caratteristiche in voga anche nell’ex-impero sovietico. Però è indubbio che sussistano delle discontinuità che solo un cieco potrebbe non notare. Che prescindono, lo ripetiamo per l’ennesima volta, dalle scelte in politica estera. La Polonia è sul tema dell’aborto mentre la Russia lo è, certamente, sul piano del contrasto all’ideologia gender (come lo è del resto l’Ungheria). Difficile riassumere le cause di questa “nuova composizione socio-culturale” (e in questa sede non c’è nemmeno il tempo e lo spazio per analizzarle come meriterebbero), ma su due piedi si potrebbe ipotizzare che la combinazione della rigida pedagogia dei sistemi comunisti unita a una reazione post-comunista alla repressione del cattolicesimo durante la guerra fredda abbia generato, nel post-1989, delle società almeno minimamente “conservatrici” o quanto meno più resistenti ad alcuni cosiddetti “valori” dell’Occidente. Non è una questione da poco e andrebbe valorizzata. A dimostrazione che con l’Est, sia quello inglobato nell’impero americano che quello ancora esterno ad esso, bisognerebbe dialogare, ragionare, costruire, anziché fossilizzarsi su ideologie inesistenti e defunte nel XX secolo. Magari contestando chi, proprio in Polonia, sta cercando di “mettere le cose a posto” nell’ordine occidentale liberal-progressista, abortista, individualista, liberista e globalizzante.
Stelio Fergola