Roma, 10 lug – Vichy fu per la Francia ciò che l’8 settembre fu per l’Italia, ma nessuno se n’è mai accorto. Difficile se ne accorgano gli anti-italiani che purtroppo abbondano nel Paese, ma a momenti non vi prestano attenzione neanche i più patriottici, schiacciati da un senso di autocritica antropologica del popolo italiano identificato quasi geneticamente come traditore, incapace di combattere e di avere slanci positivi. Il punto focale di tanta miopia risiede nella mancanza di paragoni con l’esterno e nella insopportabile tentenza a “peculiarizzare” ciò che di peculiare o specifico degli italiani non è affatto ma, banalmente, afferisce alla tragicità del tutto comune dei drammi nazionali. Ciò che accadde in terra transalpina il 10 luglio 1940 è la dimostrazione pratica di quanto sia sciocco un simile atteggiamento.
Vichy, l’8 settembre francese
Con l’istituzione del governo di Vichy la Francia realizzava un “8 settembre francese”. Al di là di ogni ragionevole dubbio. Come vogliamo chiamarlo un evento in cui una parte del Paese si stacca dall’altra, abbandona i suoi alleati e si arrende in modo praticamente incondizionato al nemico? Senza porre in essere le parole “Italia”, “Francia”, o qualsiasi altra Nazione vi venga in mente, il pensiero correrebbe automaticamente all’unico 8 settembre che ci interessa come popolo, quello italiano.
Il 10 luglio 1940, peraltro a tempi di record (a proposito di popoli che “lottano fino all’ultimo” ai quali non avrebbe la dignità di appartenere mai e poi mai quello italiano, per carità) l’occupazione nazista del Paese poneva fine alla Terza Repubblica e spaccava oltralpe la Nazione in due: a Sud lo “Stato francese” detto anche “governo collaborazionista di Vichy”, a nord la Francia ancora occupata dai tedeschi. In realtà, entrambe le formazioni statali erano sotto la piena ingerenza tedesca. Mentre a nord la Wermarcht decise di tenere sotto controllo militarmente l’area, a Sud si promosse una “zona libera” di fatto uno Stato fantoccio del Reich. Questo fu il risultato del 22 giugno precedente e del secondo armistizio di Compiègne.
Tornando al 10 luglio, in quell’occasione l’Assemblea Nazionale votò la concessione di pieni poteri al maresciallo Philppe Petain, ovvero il vero “leader” – se così si può definire – di Vichy. E sempre per la voce “solo gli italiani non hanno orgoglio”, il parere espresso dai deputati fu netto: 589 sì, 80 no e 255 assenti. Insomma, la solita grandeur di cartone…
L’Italia è una Francia che non c’è l’ha fatta (e che ha avuto meno fortuna)
Sulle prestazioni militari a dir poco imbarazzanti dell’esercito francese nello scorso secolo si potrebbe scrivere non un libro, ma un’enciclopedia. Si potrebbe ricordare quanto già nei primi mesi di guerra gli stessi alleati inglesi rimbrottassero continuamente i galletti, accusati di scarso impegno e coraggio in battaglia. Ma sarebbe davvero troppo lungo e meriterebbe un approfondimento a parte (che promettiamo di affrontare prima o poi). In questa sede, basti sapere che chi ha tradito i suoi alleati e costruito i suoi governi collaborazionisti non ha vissuto il trauma di sentirsi addosso un’infamia genetica o addirittura autorazzista. Certamente, anche grazie al fatto di essere stato più fortunato di noi. La Francia esce ufficialmente vincitrice dalla seconda guerra mondiale, sebbene grazie all’aiuto dei più forti alleati e pur essendo l’anello debole del gruppo (un po’ come lo era l’Italia per le potenze dell’Asse), e questo resta un fattore che, unitamente alla farlocchissima “grandeur”, non può non aver aiutato ad archiviare l’esperienza di Vichy senza troppi traumi psicologici di massa. Qualcuno, quando il paragone viene posto in essere, sottolinea la neutralità di Vichy, a differenza della co-belligeranza dell’ormai inerme “Regno d’Italia” dopo il tradimento di Pietro Badoglio e di Vittorio Emanuele III.
Un ragionamento piuttosto capzioso: la co-belliggeranza italiana fu di fatto un’azione di poco conto e il vero fattore decisivo per la piena conquista americana dell’Italia furono le truppe alleate. Gli stessi partigiani incisero molto poco sulla cosidetta “liberazione”. A Vichy, la neutralità formale cedeva il passo agilmente nel corso della ben nota Operazione Anton, eseguita dal 10 al 27 novembre 1942 dalle truppe tedesche e italiane che invasero il Paese allo scopo di riparare e di difendere il territorio da un’eventuale sbarco alleato. Il governo di Petain reagì con una serie di telegrammi di protesta indirizzati a Berlino e poco altro. Di fatto, permise tranquillamente agli invasori di svolgere le proprie operazioni. Al netto delle forme, che pure piacciono molto, l’Italia della seconda guerra mondiale fu a tutti gli effetti una Francia che non ce la fece. Ammesso e non concesso di considerare un grande successo quello di Parigi, quanto meno sotto il profilo morale.
Stelio Fergola