Roma, 5 lug – Il 5 luglio del 2015 veniva indetto im Grecia un referendum contro le imposizioni della cosiddetta “troika”, ovvero il “tridente” composto da Commissione Ue, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale, circa i presunti aiuti e i programmi di risanamento dei conti pubblici del governo di Atene. Ad indire la consultazione su l’allora primo ministro greco Alexis Tsipras, esponente del movimento di sinistra Syriza, eletto sospinto dalle sue stesse promesse di ostilità alle angherie dell’Unione europea ma, successivamente, disposto a ben più miti consigli (per usare un eufemismo)…
Grecia, la troika e il referendum
Il referendum, in realtà, fu una farsa. Nel senso che si trattò a tutti gli effetti di una formalità senza alcun seguito . La troika era intervenuta sulla crisi finanziaria greca scoppiata ormai dal 2008, con la chiara intenzione di imporre politiche di austerità molto severe al fine di “risanare” i conti pubblici del Paese. Il quale, peraltro, era già finito in ginocchio a causa delle imposizioni di Maastricht, tra tagli alla spesa pubblica, privatizzazione di settori strategici dell’industria pubblica e, ovviamente, tasse. Ora però i poteri finanziari europei e mondiali reclamavano nuovi sacrifici, nuove “riforme” nuovi tagli e nuova austerità. Mascherata, per l’appunto, dallo specchietto per le allodole del “risanamento”. Tspras reagì in modo abbastanza imbarazzante. parlando in televisione, in un discorso al popolo greco, il presidente annunciava la consultazione referendaria. Il cui testo riportiamo qui di seguito
“Deve essere accettato il piano di compromessi proposto dalla Commissione europea, il Fondo Monetario internazionale e la Bce all’Eurogruppo del 26 maggio 2015, composto da due documenti che costituiscono l’intera offerta? Il primo documento si intitola “Riforme per il completamento del programma corrente e oltre” il secondo “Analisi preliminare della sostenibilità del debito”
Non ci fu nessun contrasto all’austerità di Bruxelles, nonostante si ricordi la vittoria del “No” con il 61,3% delle preferenze. Insomma, i greci risposero negativamente a un quesito che potremmo riassumere provocatoriamente così: “Volete essere schiavizzati?”. Verrebbe spontaneo chiedersi chi avrebbe potuto rispondere “sì” (e ci sarebbe da riflettere in modo abbastanza preoccupante sul fatto che quasi il 39% lo fece per davvero), ma tralasciando questo aspetto, la cronaca ci racconta di un Tspiras che, quasi trionfante, annuncia di voler raggiungere un accordo per “uscire dall’austerity”. Il quale, ovviamente, nella sostanza non verrà mai posto in essere. Atene, il suo presidente e l’intero popolo greco, di fatto, si sottomettono a Bruxelles negli anni successivi. Proseguendo in politiche di distruzione economica e sociale che perdurano ancora oggi.
Un Paese distrutto
Il risultato di dieci anni di austerità tra il 2009 e il 2019 (sia con le “regole base” che con il “piano di recupero” promosso dalla troika) è noto a tutti e ne scrivemmo già qualche anno fa: la Grecia è un Paese ridotto sull’orlo del baratro. Schiacciato da creditori interessati a dilatare all’infinito il debito del Paese. Scuola Ue, scuola vincente (per loro, ovviamente(.
Stelio Fergola