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L’ultimo Godzilla contro il finto neorealismo

by Flavio Bartolucci
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Godzilla neorealismo

Roma, 16 giu – È adesso disponibile su Netflix Godzilla minus one nuova iterazione del franchise del capostipite dei kaiju, i mostri nipponici. Reboot delle origini del canonico mostro ambientato a Tokio tra il 1946 e il 1947 dopo un breve antefatto negli ultimi giorni della Seconda guerra mondiale. Un film campione d’incassi in patria, e che ha dato ottima prova di sé anche al botteghino internazionale. Ma Godzilla minus one è anche altro. Nonostante sia un “film di mostri giganti” il regista e sceneggiatore Takashi Yamazaki lavora su due livelli, da un lato il “canone dei kaiju” i film di mostri che diventeranno uno dei primi simboli della rinascita del Giappone post-bellico. Dall’altro affronta l’ambientazione con il piglio dello storico.

D’altronde Yamazaki è uno specialista, ha realizzato la trilogia di Always Sunset on Third Street, affresco del Giappone della crescita economica a partire dalla fine degli anni ’50, The Great War of Archimedes, sulla realizzazione dell’iconica nave da battaglia Yamato, e The eternal Zero, sulla riscoperta da parte di due ventenni della figura del loro nonno, un pilota kamikaze. Film del 2013 tratto da un romanzo del 2006 che aveva attirato molte polemiche per il nazionalismo e la figura dei kamikaze percepita come troppo glorificata.

L’ultimo lavoro

Godzilla minus one per Yamazaki diventa un modo per affrontare molte delle tematiche del suo cinema riflettendo sulla storia nazionale: sul prima, il Giappone nazionalista e militarista, e sul poi, il Giappone del boom economico. E facendolo proprio con uno dei simboli del cinema giapponese postbellico. Un’operazione filologica che ha portato anche a far uscire un’edizione in bianco e nero del film Godzilla Minus One/Minus Color, distribuita anche negli Stati Uniti.

Godzilla contro il (finto) neorealismo?

Dal punto di vista metacinematografico Godzilla minus one e la sua collocazione sul piano storico e culturale può rappresentare uno spunto di riflessione anche sul nostro cinema. D’altronde anche il campione d’incassi italiano del 2023 è un film ambientato nell’immediato dopoguerra, il 1948, che stilisticamente rimanda al genere principe del cinema postbellico italiano, ovvero il neorealismo.

Parliamo naturalmente di C’è ancora domani, il campione d’incassi pseudo-neorealista di Paola Cortellesi. Sia Godzilla minus one che C’è ancora domani sono una riflessione metastorica sulla propria storia nazionale e su come essa viene raccontata. Godzilla contro il neorealismo, e inevitabilmente i giapponesi postbellici dell’assoluta finzione del film di mostri sono più verosimili (e storicamente attendibili) degli italiani del 1948 del finto neorealismo di Paola Cortellesi.

Sul film di Paola Cortellesi si sono versati fiumi d’inchiostro sul tema del patriarcato nell’Italia di ieri e di oggi e sul voto alle donne per l’assemblea costituente. Il film di per sé è anche riuscito, il colpo di scena finale dove si scopre che la protagonista non sta cercando la fuga dal marito violento con un vecchio amore, bensì vuole semplicemente recarsi alle urne per l’assemblea costituente è piaciuto al pubblico e funziona. Così i tempi comici di molte delle gag.

Pure ha dei limiti non indiferrenti a partire dall’essere uno strano ibrido tra dramma e commedia, e dal fatto che la “falsa pista” per sviare lo spettatore non regge a una seconda visione, tanto sono approssimativi e contradditori i falsi indizi che la sceneggiatura propone. Come il disprezzo della portinaia mostra nel consegnare la lettera con la tessera elettorale alla protagonista. Disprezzo che fa illudere lo spettatore si tratti di una lettera d’amore, eppure la stessa lettera è stata ragionevolmente recapitata a tutte le persone in età di voto del palazzo. Perché il disprezzo? Solo per sviare lo spettatore.

O la scelta discutibile di risolvere la promessa di matrimonio della figlia facendo saltare il bar del futuro sposo con una bomba messa lì da un militare statunitense, quasi un rimando a Gladio e alla strategia della tensione. Eppure, nonostante queste trovate e relativi momenti d’incredulità (altro che mostri nella baia di Tokio) C’è ancora domani è stato accolto da pubblico e critica come uno spaccato realistico dell’Italia che fu.

I giapponesi fantascientifici meglio degli italiani “deliranti corretti”

Più credibili (al netto di un paio di trovate) i giapponesi sconfitti di Godzilla minus one e le contraddizioni del Giappone post-bellico.

Il protagonista è un ex pilota kamikaze sopravvissuto alla missione millantando un problema tecnico. Due volte vile, anche perché forse avrebbe potuto fare qualcosa contro un Godzilla ancora in fasce (non ancora diventato un mostro gigante dopo le radiazioni delle bombe atomiche). Il suo ritorno a casa è tra le macerie di una Tokio distrutta, macerie dove anche l’umanità sembra perduta tra le miserie. La vicina che lo tratta con disprezzo considerandolo causa della stessa sconfitta del Giappone: lui è tornato a differenza dei suoi parenti, segno che non ha combattuto abbastanza. E mentre il protagonista cerca di rifarsi una vita, e piano piano le case iniziano a prendere il posto delle misere baracche, arriva il mostro a distruggere nuovamente Tokio.

Quando arriva Godzilla, i giapponesi pensano di poter fare affidamento sugli Stati Uniti, che si rifiutano di intervenire temendo un’escalation con l’Unione Sovietica. A quel punto uno scienziato e un ammiraglio dovranno reclutare i reduci della Marina per una missione quasi certamente suicida contro il kaiju. Uno dei momenti più riusciti del film, dove si cerca di coniugare il passato e il futuro di una nazione.

Da un lato la riflessione sulla sconfitta e sull’azione dei comandanti in sfregio anche della vita dei loro stessi uomini. Dall’altro la necessità di dover chiedere un nuovo sacrificio agli stessi in quella che lo scienziato definisce furbescamente la “battaglia per il futuro”.

Retorica giapponese si dirà, pure è un modo di tentare una riconciliazione tra lo spirito di quella guerra e di quella sconfitta e di quello che sarebbe venuto dopo. Impossibile una cesura netta o far finta che quella storia non ci sia mai stata. Si è pur sempre figli e nipoti di quegli uomini che hanno combattuto dalla parte sbagliata. Ecco la differenza tra un film come Godzilla minus one e le nostre fiction dove il fascista di turno non può che essere una macchietta, o segretamente e convintamente antifascista. E così in una fiction Bottai è l’ur-fascista che spia Marconi, mentre in un’altra fiction è più o meno convintamente antifà.

Per molti Godzilla minus one è solo un film “nazionalista”, e una parte della critica giapponese lo ha guardato con sospetto come The Eternal Zero. Più semplicemente è un buon film, come dimostra anche l’incasso negli Stati Uniti.

A margine un’ultima postilla metacinematografica di confronto tra Italia e Giappone sempre ispirata a Godzilla minus one. Deus ex tecnologico la presenza nel film di un caccia Kyushu J7W Shinden, tardivo tentativo giapponese di realizzare un intercettore d’alta quota per constrastare i B-29 statunitensi. Per il film è stata realizzata un replica museale prontamente esposta al Tachiarai Peace Memorial Museum presso Fukuoka. Certo un aereo non è un sommergibile, pure sarebbe da chiedersi che fine ha fatto la replica del Cappellini realizzata per il film Comandante e di cui si ventilava una musealizzazione.

Un motivo in più per imparare dai giapponesi. E nel frattempo, tra Godzilla e il finto-neorealismo nostrano, il verdetto è certo.

Flavio Bartolucci

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