Roma, 5 giu – Il 5 giugno 1883 nasceva John Mainard Keynes, ovvero la nemesi anticipata del disgraziato sistema di Maastricht in cui ci siamo infilati da oltre trent’anni. Lo stesso che ci ha portato alla deindustrializzazione crescente, alla distruzione della nostra potenza a livello mondiale, alla povertà diffusa di cui tristemente oggi aggiorniamo i dati sempre al rialzo.
Quando non c’era Maastricht, Keynes ispirò il fascismo (e l’Italia post-bellica)
Ironico e forse spiritualmente non casuale che l’anno di nascita sia lo stesso di Benito Mussolini, “Sua Eccellenza” come veniva notoriamente chiamato ma oggi “rispolverato”, pare, con quell’appellativo da molti che tirano in mezzo il fatto che abbia utilizzato nella sua vita politica la parola “Europa” (non si capisce bene quale avrebbe dovuto usare, forse “Australia”? In compenso usava molto più spesso “Italia”, ultimamente scomparsa dal vocabolario manco fosse una parolaccia).
Ovviamente tutto ciò sembra motivo utile per sparare continuità casuali e del tutto strumentali tra fascismo ed europeismo senza spiegazioni concrete sul passaggio futuro. Perché no, di spiegazioni non ce ne sono: si parla solo di Europa in modo indefinto e randomico, senza mai analizzare come ci si dovrebbe arrivare “affratellandosi” – peraltro in modalità temporali altrettanto indefinite, potremmo anche interpretarle con “dopodomani” – con chi, nel 2011 e non certamente nel 1832 (data del tutto inventata, sia chiaro, solo per dire che non parliamo ere geologiche fa) ti ha fregato armi e bagagli in Libia compromettendo enormemente il tuo ruolo essenziale nel Mediterraneo, “ri-peraltro” oggetto primario della politica fascista nel ventennio in modo ben superiore alle proiezioni continentali (e con un approccio abbastanza diverso da quello tenuto dall’Italia liberale).
Comunque, a parte questa leggera digressione, la nascita di Keynes è importante perché ci ricorda una delle basi del modello socio-economico che l’Italia ha insegnato nel secolo scorso, perfino a livello mondiale, dal momento che un certo Franklyn Delano Roosevelt inviò i suoi più stretti collaboratori proprio a studiare cosa stesse realizzando l’Italia fascista negli anni Trenta, al fine di trovare soluzioni per provare a contrastare la depressione galoppante successiva alla ben nota crisi del ’29 e di sviluppare il progetto della ben nota Tennessee Valley Authority.
Dal canto suo, un’ideologia dall’anima anche socialista come quella fascista, anch’essa alla ricerca di nuove strade che superassero il marxismo, non poteva restare indifferente a colui che, di fatto, formalizzò meglio di chiunque altro l’importanza dell’intervento dello Stato nell’economia, del raggiungimento della piena occupazione, che si ritrovano nella sua ben nota opera omnia (quanto meno in senso concettuale) Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta, pubblicata nel 1936. Il fascismo dell’Iri e delle bonifiche raccoglie appieno l’idea dell’economista britannico e ne rappresenta uno dei maggiori esecutori. Lasciando in mano all’Italia repubblicana un’eredità pazzesca, per quelle che sarebbero state le basi del ben noto “boom economico”.
Un approccio incompantibile con Bruxelles e con l’Ue
Rifuggire dal dramma antimonetario di Milton Friedman per tornare al caro John. Non c’è molto da aggiungere a riguardo ma un pochino lo faremo lo stesso, come già avvenuto in passato su queste pagine, perché anche le nozioni semplici vanno ripetute, allo scopo di non dimenticarle mai. Maastricht sta a Keynes più o meno come la proprietà privata e il mercato stavano al comunismo. Dunque, parliamo di soggetti, pensieri, nozioni decisamente incompatibili. I parametri dell’Ue ci obbligano a non emettere moneta, a non fare spesa pubblica, a controllarla al ribasso costantemente impedendoci di pianificare qualsiasi progetto di investimento serio. È sufficiente notare come ogni anno i governi italiani – indipendentemente dal colore – siano costantemente alla ricerca di nuove possibilità di risparmio, a danno di scuola, sanità, dell’intera solidità del tessuto sociale italiano.
In queste condizioni la “piena occupazione” a cui mirava Keynes – raggiunta e mantenuta da molti dei Paesi che si ispirarono ai suoi insegnamenti – non può che essere un miraggio. La gabbia di Bruxelles non solo ci impedisce di essere ciò che siamo sempre stati, ovvero dei “capitalisti temperati dall’intervento pubblico”, se così possiamo definirci. Ma blocca qualsiasi possibile idea di sviluppo. Nella solita, inutile e comprovata impossibilità di inseguire un “debito” che non si ripagherà mai. Oggi Keynes nacque, viva Keynes. Con la speranza di avviare un percorso difficile e lunghissimo verso l’emancipazione. Perché le tentazioni di mollare colpiscono soprattutto una certa tipologia di persone, oltre ai corrotti: coloro che hanno fretta e che non comprendono quanto la nostra vita sia temporalmente limitata.
Stelio Fergola