Roma, 14 mag – È dal palco del Salone del libro di Torino che Antonio Scurati lancia la sua ennesima omelia sui pericoli di questo governo e la sua presunta deriva autoritaria. Ma quello che è emerge è il ritratto di un intellettuale che non vuole prendersi alcuna responsabilità.
La lagna di Scurati al Salone del libro
“È in atto una svolta illiberale. È un dato di fatto che gli intellettuali liberi, scrittori, artisti e studiosi, vengono indicati dall’attuale governo come nemici”. A sentire Scurati sembrerebbe qualcosa di scontato, una verità indubitabile: il nostro Paese si starebbe avviando verso le tenebre dell’autocrazia. Un assunto che intende dimostrare parlando dell’iniziativa sui social portata avanti da Atreju: “Quando il think thank, il pensatoio (mi viene un brivido a usare questa parola in modo così inappropriato), il movimento giovanile del partito del capo del governo fa dei manifesti per la campagna elettorale in cui indica deridendoli, sbeffeggiandoli, denigrandoli i volti di scrittori, conduttori televisivi, giornalisti, attori come gli avversari che dovranno piangere alle prossime elezioni quando loro vinceranno, non c’è dubbio alcuno che stanno individuando dei nemici”. E argomenta: “Non come avversari, perché se fossero i leader del partito politico avversario sarebbero avversari, ma siccome sono dei privati cittadini e singoli individui stanno indicando un nemico”.
Menomale che esistono i nemici
Ma menomale che esistono i nemici. È noto che per il giurista tedesco Carl Schmitt la politica si fondi sulla distinzione tra amico e nemico, la qual cosa implica un riconoscimento di quest’ultimo proprio in quanto nemico. Infatti, alla base di tale distinzione non c’è un dato morale, economico o valoriale: “Non v’è bisogno che il nemico politico sia moralmente cattivo, o esteticamente brutto”. Piuttosto è originata da un’alterità che porta ad un conflitto. Ciò è anche l’ammissione della propria parzialità e la garanzia che il conflitto non divenga assoluto. Al contrario, senza lo status di nemico, quest’ultimo viene delegittimo e gli viene tolto perfino il diritto di opporsi. Un comportamento che vediamo spesso nella sinistra che non riconoscendo i propri nemici come tali li esclude, li umilia, li criminalizza, si pone l’obiettivo di rieducarli. Non vale nemmeno il gioco linguistico di Scurati su avversari e nemici, perché nasconde la pretesa che il ceto intellettuale sia in qualche modo intangibile, che non abbia alcuna responsabilità per quello che dice o afferma, che ogni forma di contrasto o contraddittorio sia un abuso.
“Non ho mai parlato di censura”
Nonostante molte delle sue recenti fortune siano dovute alla sua immagine di “martire”, Scurati cerca di svestirne i panni: “In questo momento in Italia questo governo ha individuato e sta additando ai suoi seguaci gli intellettuali, gli scrittori, i liberi pensatori, come nemici. A prescindere dal mio caso personale, ci sono anch’io insieme ad altri. Non facciamo casi personali, per favore. Io non ne posso più di vedere la mia faccia. Non mi sopporto più io, pensate gli altri. Non dobbiamo personalizzare. È un processo storico, una dinamica sociale. Personalizzare significa fare un danno alla democrazia”. E in un raro momento di onesta, ammette di non aver subito alcuno censura: “Io non ho mai parlato di censura, tantomeno di censura di Antonio Scurati. Un monologo per la Resistenza e la sua memoria è stato cancellato. Una delle ferite che viene inflitta alla matura e piena democrazia è che si tende a trasformare il dibattito di idee in attacchi contro le persone sul piano dell’insulto personale. Quando sostengo delle idee e tu mi attacchi personalmente dandomi del poco di buono, dell’avido, del profittatore stai applicando un metodo antidemocratico che nella nostra storia, non quella dell’Unione Sovietica che ha fatto molto peggio, ha le sue radici nel fascismo”. Un’equazione tra attacchi personali e fascismo a dir poco peculiare, che anzi sembra far perdere di senso sia l’una che l’altra parte.
Michele Iozzino