Roma, 31 mar – Al cinema raccontare un’Italia eroica e ben diversa a quella a cui siamo abituati è possibile e più semplice di quanto si possa immaginare. Lo dimostrano due film agli antipodi ma entrambi capaci di raccontare a loro modo due grandi italiani, due “comandanti” lontanissimi per contesto ma non per spirito: un sommergibilista e un direttore di una squadra corse automobilistica. Sono il Salvatore Todaro di Pierfrancesco Favino nel film Comandante e il Cesare Fiorio di Riccardo Scamarcio in Race for glory: Audi vs. Lancia film sul mondiale costruttori rally del 1983 vinto dalla Lancia contro i tedeschi.
Due film dedicati ad “eroi” italiani al cinema
Due film diversi non solo per l’argomento ma anche per produzione e cifra stilistica. Tutto italiano e dal taglio autoriale il film bellico di Edoardo De Angelis che cerca di mantenersi fedele agli eventi. Coproduzione italo-franco-britannica il film di Stefano Mordini dedicato al mondiale di rally del 1983 che invece opta per diverse libertà tra cui gli inevitabili cliché del film automobilistico. Entrambi film altrettanto ambiziosi nel proporre un’Italia cinematografica alternativa a quel cinema fatto di commedie o drammi sempri uguali tra la borghesia degli attici di Prati e Parioli e il proletariato non così proletario da seminterrato al Pigneto. E in cui l’unica alternativa a queste due visioni è il cinema dedicato alla criminalità organizzata e a chi l’ha combattuta. Da una parte i film paludati devoti agli eroi civili e dall’altra (la via preferita da TV e streaming) quella di una continua esaltazione degli stessi criminali, che tra “suburre e gomorre” sembrano gli unici “eroi italiani” possibili per il piccolo schermo. E invece arrivano casualmente e a distanza di pochi mesi due film che ci raccontano come sia possibile un’altra visione dell’Italia e dei suoi (tanti) eroi. Eroi a loro modo arcitaliani, che sfiorano talvolta lo stereotipo, ma senza mai scadere nel “tutti a casa” di troppo cinema italiano. Arcitaliani perché insofferenti alle regole, come il Salvatore Todaro di Favino che canticchia un motivetto ben inviso all’OVRA come Un’ora sola ti vorrei, mentre il Cesare Fiorio di Scamarcio che conosce il regolamento meglio di tedeschi e francesi per sfruttarne le falle. Entrambi impegnati a cercare di “combattere e vincere” secondo un sistema di valori ben chiaro. Il paragone militare non è causale: nel film Race for Glory: Audi vs. Lancia il parallelismo bellico-sportivo è una delle chiavi di lettura del film. Il film si apre con il Cesare Fiorio di Scamarcio intervistato da una giornalista statunitense a digiuno di rally che racconta che comandare una squadra corse è come dirigere un’armata. I segmenti dell’intervista si alternano alla progressione delle corse del campionato, diventando sorta di seduta psicanalitica sul significato della ricerca della vittoria. E di fronte alla domanda sul rischio, sulla paura e la morte in agguato dietro ogni curva della giornalista il Cesare Fiorio del film risponde affermando che “la morte fugge da coloro che la inseguono”. La stessa visione ideale di tanti grandi italiani prima di lui, tra i quali lo stesso Salvatore Todaro (quello vero) che in una lettera alla moglie del maggio 1940 esordiva con “La morte coglie solo i vili. Per gli altri non esiste.” Una casualità, ma allo stesso tempo la dimostrazione che l’Italia, anche quella recente, è piena di grandi italiani e di grande storie. Storie di grandi individui e storie di grandi squadre. Bene che ci sia ancora qualcuno a raccontarlo, o almeno a provarci. Certo i due film in questione non sono perfetti. Di Comandante nato anti-salviniano e finito troppo meloniano, molto si è già detto, mandolini inclusi. Race for glory prova a cimentarsi con uno spirito più internazionale a partire dal titolo e prende a prestito tutti i cliché del genere da Rush a Le Mans ’66 – Ford v Ferrari, concendendosi parecchie libertà nel ricostruire il campionato del 1983. Tra tutte la più evidente il fatto che la 037 avesse già gareggiato in maniera deludente nel campionato delll’82, mentre qui viene presentata come un nuovo modello.
La nostalgia per un qualcosa che non c’è più
Libertà e invenzioni che talvolta aggiungono epos, come l’origine del nome della 037 preso dal record del circuito (invece di un prosaico numero di progetto), altre meno. Pure le sequenze alla guida valgono il prezzo del biglietto, e persino Lapo Elkann che si presta a interpretare il nonno avvocato con una battuta su sé stesso da piccolo quasi riconcilia con una dinastia su cui c’è molto da dire di questi tempi. Race for glory è la dimostrazione che l’Italia è anche altro. O almeno lo era fino a qualche tempo fa, come rimanendo in tema di rally ci ricorda lo stesso marchio Lancia, che pur non gareggiando da decenni rimane ancora oggi in testa alla classifica del campionato costruttori del WRC con dieci titoli vinti grazie a Fulvia, Stratos, 037 e Delta. Race for glory ricorda non solo un’altra Italia, ma anche un’altra Europa. Anche il gruppo Volskwagen ha smesso dal 2016 di gareggiare al mondiale di rally nella categoria principale, e negli ultimi anni il WRC è diventato sorta di sfida a due tra giapponesi di Toyota e i coreani di Hyundai, con Citroen e Ford ridotte quasi a comparse. Insomma ricordare la grande sfida tra italiani e tedeschi di 40 anni fa riflettere a quella desertificazione industriale che colpisce inevitabilmente anche la fu “locomotiva d’Europa”, ricordando come all’epoca del film il resto del mondo potesse solo “inseguire”.
Dei racconti oltre i soliti cliché all’italiana
Ma al di là dell’inevitabile riflessione sulla nostalgia per quell’industria e quegli uomini e il declino industriale ed economico che sembra ineluttabile Race for glory dimostra, come già Comandante, un altro elemento fondamentale. La possibilità e la volontà di raccontare questi grandi italiani senza cedere agli ormai vetusti cliché del neorealismo e della commedia all’italiana. Neorealismo soprattutto a cui sembra non si possa più rinunciare. Come dimostra il successo e la critica osannante nei confronti del pastiche mezzo neorealista e mezzo comico di C’è ancora domani di Paola Cortellesi diventato per il pubblico di semicolti sorta di documentario sul patriarcato dell’Italia di ottant’anni orsono. Ma il neorealismo non è solo nel bianco e nero esibito da Paola Cortellesi. Elementi neorealisti che soffocano anche la biografia in formato di miniserie di un altro italiano celebre, Supersex dedicato alla vita di Rocco Siffredi su Netflix. In cui la Roma e Parigi del giovane pornodivo interpretato da Alessandro Borghi sono offuscate dalle visioni neorealiste tra le case popolari dell’Ortona anni ’70, e il “romanzo criminale” nella Parigi dei primi anni ’80. Quasi che l’immaginario dell’Italia su piccolo e grande schermo non possa prescindere da questi due elementi che, è bene precisare, sono “solo” due generi tra i tanti che hanno abitato il cinema e la televisione italiana. Comandante e Race for glory sono a ricordarci che si possono raccontare l’Italia e gli italiani in maniera ben diversa. E il pubblico cinematografico sembra apprezzare anche senza fiumane di scolaresche precettate in matineé per il film impegnato di turno. Tra mercato italiano e internazionale Race for glory ha già raccolto oltre un milione e seicentomila euro.
Flavio Bartolucci