Roma, 19 feb – Non sono mai stato del partito “contro Agnelli”, e mi rendo conto di essere in minoranza, ma non è quello il punto. Potevo rilevare criticità nei sostegni di Stato ottenuti dalla Fiat in tanti decenni, ma ciò non toglie che quei sostegni fossero per lo meno nel pieno interesse nazionale. Perché la Fiat, nel ventesimo secolo, è stato un cardine della potenza industriale italiana nel mondo, fonte di lavoro e di ricchezza. Stellantis non è nulla di tutto ciò. È una propaggine cancerogena che non fa altro che minacciare gli interessi nazionali, drenando e distruggendo quel poco che rimane dell’industria italiana. Con la responsabilità gravissima degli Agnelli-Elkann, autori di uno scempio che dovrebbe essere penalmente perseguibnile.
Da Fiat a Stellantis, dalla potenza alla deindustrializzazione
Non c’è niente da difendere di questi primi anni di Stellantis, anzi c’è solo da offendere, e con durezza. Stellantis, l’azienza multinazionale nata dalla post-fusione della Fiat con Chrysler e successivamente con la francese Psa. Fusione truffa, ovviamente, perché altro non era che una vendita, come abbiamo sottolineato di recente. Non che non fosse prevedibile, sia chiaro. L’andazzo della principale azienda automobilistica italiana era ben chiaro già dopo i primi anni Duemila, con la crisi del mercato e le voci che si sono susseguite sulle possibili evoluzioni. Ora Stellantis ha in mano il poco che resta del mercato italiano e della sua produzione di automobili. Con gli amministratori delegati che minacciano, dettano condizioni, prendono perfino in giro l’intelligenza, se si pensa alla sparata di Carlos Tavares di qualche giorno fa, quando ha dichiarato che “c’è sicuramente un futuro per gli stabilimenti di Pomigliano e Mirafiori”. Bella concessione, caro Carlos., considerato che Pomigliano è il sito più produttivo nel Paese e della stessa compagnia.
La Nazione dell’automobile ridotta a una larva
L’Italia era tra i primi produttori mondiali di automobili al mondo e oggi è al diciannovesimo posto. Nel 1991 produceva quasi due milioni di veicoli all’anno e nel 2021 non arrivava a mezzo milione. Per carità, è vero che anche altri produttori grossi dello scorso secolo siano crollati: un esempio in tal senso è il Regno Unito. Ma è anche vero che realtà come la Francia resistono ancora al dodicesimo posto e sfornano molte più vetture di noi, è anche e drammaticamente vero che siamo degradati al settimo posto in Europa e che sopra di noi non ci sono solo Francia e Gran Bretagna, ma anche la Spagna, la Slovacchia e la Repubblica Ceca. Un crollo indifendibile sotto ogni aspetto, per un settore da sempre imponente nel mondo dell’economia. L’Italia è la Nazione dei motori e anche delle automobili. Per tradizione, prestigio, e sì, anche potenza industriale. Perfino prima di industrializzarsi nella seconda metà del secolo scorso, aveva già dato prova di questa tendenza. Ora è ridotta a una larva. E questo non è accettabile.
Stelio Fergola