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Julian Assange e quell’ipocrisia giornalistica occidentale sui detenuti

by Sergio Filacchioni
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Julian Assange

Roma, 15 feb – Ci potete scommettere: non c’è nemmeno una foto che ritrae Julian Assange o le sue condizioni di vita e salute nella detenzione londinese. Dal 10 dicembre 2021 il giornalista australiano è detenuto “a scopo preventivo” in attesa del termine del processo che deciderà per la sua estradizione negli Stati Uniti: tra il 20 e il 21 febbraio si riunirà l’alta Corte di giustizia britannica, per decidere in merito all’istanza presentata dai legali di Assange.

Qualcuno ha visto Assange?

Una sconfitta significherebbe la consegna immediata alle autorità statunitensi ed una condanna da scontare a 175 anni in carcere di massima sicurezza.  Il fondatore di WikiLeaks – lo ricordiamo – nel 2010 pubblicò sul suo sito oltre 600mila documenti riguardanti le guerre in Iraq e Afghanistan, compresi video che rivelavano veri e propri crimini di guerra compiuti dall’esercito americano. “Questa tortura deve finire, è un caso politico e necessita di una soluzione politica, se Julian verrà estradato in America lo chiuderanno in un buco così profondo che non lo vedrò più”, ha detto senza troppi giri di parole Stella Assange, moglie del giornalista. Eppure sui media – nonostante la quasi totale solidarietà del “mondo libero” – non abbiamo assistito a quella stessa “pornografia” carceraria che ci è stata propinata per il caso Salis: per lei abbiamo visto le tremende foto in catene, abbiamo visto la cella, abbiamo ascoltato le parole di parenti, amici e compagni di cella. Insomma, la panoramica completa. Non è una gara ma fa riflettere la scelta di schermare completamente dal mondo questo giornalista che si è inimicato una superpotenza come gli Stati Uniti, nonostante anche a sinistra ogni tanto si tentino velleità anti-americane: tipo quella che oggi lo ha reso cittadino onorario di Roma, con l’assemblea capitolina che ha approvato la mozione con 27 voti favorevoli e 2 contrari.

Civis romanun sum

Bene ed ora? In altri tempi il titolo di Civis romanus avrebbe comportato responsabilità più alte per uno Stato e avrebbe fatto tremare i polsi dei nemici di chi si fosse vestito della sua regalità. Ora che questo cittadino romano è in prigione per aver servito un’idea di verità superiore, cosa farà Roma per lui? Ovviamente nulla. Si disonorerà questo nome con l’inazione e l’inettitudine, perchè oltre la patina c’è poca sostanza e forse un pizzico d’ipocrisia da parte di chi si profonde in questi impegni umanitari che non disturbano proprio nessuno: non ci aspettiamo certo che Gualtieri e Raggi pongano d’assedio le ambasciate di Regno Unito e Stati Uniti per chiedere la restituzione di un cittadino all’Urbe. Julian Assange è attualmente detenuto nella prigione di massima sicurezza di Belmarsh e rischia di trovarsi presto in un luogo ancora peggiore: ma oltre le belle parole questo Occidente non farà nulla per lui, perchè in fin dei conti è figlio di quel compromesso spurio che ha destituito l’Italia e l’Europa dalla storia per renderla valletta dei suoi boia.

Sergio Filacchioni

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