Roma, 14 gen – Se vogliamo definire l’architettura possiamo immaginarla come la struttura che distribuisce le relazioni spaziali tra individui e comunità. Definisce ciò che riguarda l’ordine interno ed esterno, nella sfera intima e comunitaria. Se queste relazioni cambiano, l’identità dell’insieme ne risente immediatamente.
Nel mondo classico la sfera privata e quella pubblica erano in equilibrio e gli edifici presentavano aperture ricavate sulle facciate. Spesso le aperture erano mini-strutture assimilabili a edicole, ove si formavano dei veri e propri ambienti che consentivano di affacciarsi verso l’esterno. Ci si poteva così presentare davanti alla comunità dei cittadini radunati nelle strade e nelle piazze. La facciata, per così dire, distilla il visibile e l’invisibile, è un diaframma che unisce, non separa. L’architettura moderna sposa l’idea della trasparenza, con costruzioni funzionali e case di vetro.
L’interno e l’esterno coesistono e talora corrispondono. I criteri di qualità spaziale sono definiti da una ricerca di coerenza tra scelta costruttiva ed espressione formale, sempre nel rispetto del contesto di riferimento.
Esempi di spazio e Bellezza
Per rappresentare differenze e similitudini fra momenti storici differenti, mettiamo a confronto tre edifici del periodo classico, moderno e contemporaneo: la Villa La Rotonda progettata nel 1571 da Palladio vicino a Vicenza, la Villa Savoye a Poissy progettata nel 1931 da Le Corbusier e la Maison Latapie progettata da Lacaton & Vassal a Floirac nel 1993.
La Villa La Rotonda, con le sue quattro facciate antropomorfe, sembra voler presiedere il territorio, porlo sotto il suo vigile sguardo, anticipando il sistema panottico, ovvero chiuso, teorizzato da Jeremy Bentham alla fine dell’Ottocento per risolvere la questione dello spazio carcerario. L’onnipotenza della sua forma permette di scolpire il vuoto esteriore e di dare una dimensione urbana a un palazzo affacciato sui campi.
Villa Savoye rappresenta il paradigma di una macchina per vivere, nella sua relazione spazio-tempo, e vive in una forma di trasparenza ben definita. Questo il pensiero dell’architetto Colin Rowe e dal pittore Robert Sluzky. E’ perfettamente leggibile dall’esterno con le sue lunghe vetrate che permettono di arrivare alla sintesi tra sistema costruttivo e sistema distributivo.
La casa Latapie è una struttura a se stante che non ha relazioni con il contesto circostante. È un volume semplice a base rettangolare racchiuso in una struttura metallica con due pareti differenti: una parete opaca ed una parete trasparente. Le due pareti si possono orientare diversamente, designando così una prerogativa mobile delle facciate. Questa soluzione si può definire un diaframma attivo che contribuisce da una parte ad una chiusura verso lo spazio pubblico, ma dall’altra parte permette allo spazio interno di rappresentarsi nella propria intimità.
Equivoci della Modernità
Secondo una certa visione della Modernità, discutibile ma per alcuni molto suggestiva, sono belle le costruzioni che suscitano stupore e permettono a chi le osserva di partecipare alla loro difficoltà di comprendere il mondo. Proprio come quegli oggetti che per sedurre meglio i loro utilizzatori li sorprendono per l’originalità del loro aspetto estetico senza avere un’identità che li faccia riconoscere e distinguere
C’è da chiedersi perché gli architetti non dovrebbero progettare luoghi per gentiluomini che sfoggiano cappelli piumati e per cittadini aristocratici sopravvissuti al declino della storia. Mentre, come accade più spesso, si lasciano attrarre da interpretazioni suggestive come espressione di un’avanguardia della modernità trionfante. Per questo basta riferirsi alle opere di El Lissitzky e Rodchenko o ai filmati da Leni Riefenstah.
Questo tipo di approccio riguarda un mondo opaco e superficiale dove l’unica cosa che conta è l’involucro, la carrozzeria, il packaging. Qualcuno osserva che è tempo di pensare a strutture discontinue che permettano ai nostri edifici di apparire come sospesi, di levitare nello spazio. Ovvero di concepire la città non come uno spazio accogliente e aperto, ma come monadi chiuse in se stesse e senza comunicazione fra di loro, riprendendo in questo modo la concezione di Leibniz.
L’importanza dello spazio
Le arti visive in generale, e l’architettura in particolare, si possono definire come creazioni nello spazio. Ma nella tradizione della storia dell’architettura questo concetto non appare centrale nelle varie interpretazioni. Infatti, i trattati di Vitruvio, Alberti o Palladio non ne fanno menzione diretta e non usano la parola spazio per definire questo concetto. È vero, per la precisione, che i tre concetti chiave di Vitruvio nell’arte di edificare implicano una collocazione nello spazio. Infatti, firmitas (solidità), utilitas (funzionalità) e venustas (bellezza) si sovrappongono in parte ai dati spaziali. I rapporti di proporzioni che determinano il dimensionamento degli spazi sono legati alla definizione degli ordini architettonici, alla ricerca di armonia, quindi della bellezza. Si può dire che gli architetti sovente si attengono a dati percettivi molto generici, che coinvolgono tutti i sensi tranne il gusto, con una visione del progetto delimitata in se stessa. La ripetitività di questo tipo di approccio è forse in parte responsabile di una certa disaffezione nei confronti dello spazio come “materiale di architettura”. D’altra parte, si deve osservare che lo spazio è diventato un concetto operativo per un numero crescente di discipline, ma con altri riscontri culturali.
Roberto Ugo Nucci